21 Giugno 2019 – Roma – “Alain, Mulela, Nadia, Youssef…”. In una basilica affollata da uomini e donne originari di tanti Paesi del mondo, insieme a chi li ha accolti e si è impegnato per la loro integrazione, sono risuonati i nomi di chi invece non ce l’ha fatta ad attraversare il mare. È stata commossa e molto partecipata “Morire di speranza”, la veglia organizzata a Santa Maria in Trastevere da tante associazioni – tra queste Migrantes – che lavorano ogni giorno per dare un futuro a chi arriva nel nostro Paese per ricordare le oltre 38 mila vittime dei viaggi in mare e via terra verso l’Europa, dal 1990 ad oggi. Tra gli ex migranti, oggi già avanti nell’integrazione, tanti che sono arrivati con i barconi, insieme a chi invece ha avuto la fortuna di giungere con i corridoi umanitari, il progetto realizzato da Sant’Egidio insieme alle Chiese protestanti italiane e alla Cei, dal Libano per i profughi siriani e dall’Etiopia per quelli del Corno d’Africa: sono ormai oltre 2.500, giunti non solo in Italia ma anche in Francia, in Belgio e ad Andorra. Le tragedie del mare non sono affatto finite. Nell’ultimo anno, da giugno 2018 ad oggi, le vittime sono state 2389, mentre nel primo semestre del 2019 sono già 904 i morti in mare, con un aumento delle donne e dei bambini che hanno perso la vita in traversate sempre più pericolose. A fronte di una diminuzione degli sbarchi, è infatti cresciuta la percentuale di morti e dispersi: se nel 2017, considerando solo il Mediterraneo Centrale, il tasso di mortalità di chi intraprendeva un “viaggio della speranza” era di 1 su 38, nel 2018 è stato di 1 su 14. “Le morti in mare non sono una statistica ma una tragedia dell’umanità di fronte alla quale non si può restare indifferenti – ha commentato il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo – da Santa Maria in Trastevere lanciamo un appello perché si aprano con urgenza nuovi corridoi umanitari e nuove vie legali di ingresso in Europa”.
Nell’omelia il cardinale Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, ha invitato ad ascoltare il “grido di angoscia lanciato da tante persone durante i viaggi della speranza, in balia del mare agitato e del clima avverso, e soprattutto in balia della crudeltà di uomini indifferenti alla loro sofferenza, alla loro dignità, alla loro vita”. Ricordando il Messaggio di papa Francesco per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, il cardinale ha concluso: “Una società che non è più capace di prendersi cura di chi è vulnerabile diventa disumana”. Nel corso della veglia sono stati pronunciati ad alta voce alcuni nomi di chi è morto in mare nell’ultimo anno, accompagnati dall’accensione di candele in loro memoria e da canti in lingua, intonati dagli stessi rifugiati. Alcuni di loro sono stati compagni di viaggio di chi si è fatta memoria. “Morire di speranza” – che i prossimi giorni verrà celebrata anche in altre città italiane ed europee è stata promossa per non dimenticare l’attesa e al tempo stesso la sofferenza di chi cerca protezione in Europa, per non rassegnarsi o assuefarsi alle tragedie ma impegnarsi per un mondo più umano e giusto. Associazioni che, di fronte al gran discutere di immigrazione in questi mesi, chiedono che si continui a salvare, accogliere e integrare chi fugge dalle guerre, ma anche che crescano i corridoi umanitari, aumenti il numero dei reinsediamenti dei profughi che hanno abbandonato il loro Paese e si aprano nuovamente vie legali anche per motivi di lavoro. Solo in questo modo le nostre società potranno essere più inclusive e quindi più sicure.


