9 Maggio 2019 – Roma – “Voi scoprite di non essere fuori, ma dentro un’altra società; una società visibile, ma spirituale; umana, ma religiosa; questa società, voi lo sapete, si chiama la Chiesa. Voi oggi, come forse non mai, scoprite la Chiesa. Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore”. È il 26 settembre 1965. Siamo presso Pomezia, vicino a Roma. Qui rom, sinti e camminanti di ogni parte d’Europa ricevono la visita del Papa, Papa Paolo VI che si reca alla loro tendopoli per celebrarvi la santa Messa. Durante l’omelia traccia un programma di fede, di impegno e di rinascita per tutti i nomadi sottolineando che essi non sono fuori dalla Chiesa ma sono “nel cuore” di essa. “È qui, nella Chiesa, che voi vi accorgete d’essere non solo soci, colleghi, amici, ma fratelli”, dice il papa: “e non solo fra voi e con noi, che oggi come fratelli vi accogliamo, ma, per un certo verso, quello cristiano, fratelli con tutti gli uomini; ed è qui, nella Chiesa, che vi sentite chiamare famiglia di Dio, che conferisce ai suoi membri una dignità senza confronti, e che tutti li abilita ad essere uomini nel senso più alto e più pieno; ed essere saggi, virtuosi, onesti e buoni; cristiani in una parola”.
Dopo 46 anni un altro papa riceve in udienza i rom: si tratta di Benedetto XVI che ha aperto loro le porte del Vaticano per una udienza particolare. E’ l’11 giugno 2011: la storia di questi popoli – ha detto Benedetto XVI – è “complessa e, in alcuni periodi dolorosa”. “Purtroppo lungo i secoli – ha detto ancora – avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione, come è avvenuto nella II Guerra Mondiale: migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio. È stato – come voi dite – il Porrájmos, il ‘Grande Divoramento’, un dramma ancora poco riconosciuto e di cui si misurano a fatica le proporzioni, ma che le vostre famiglie portano impresso nel cuore”. Il giorno successivo i rom si sono ritrovati al Santuario del Divino Amore dove si trova l’unica chiesa a cielo aperto intitolata al beato Zeffirino Giménez Malla, detto “El Pelé”, il primo martire gitano beatificato per volontà di Papa Giovanni Paolo II il 4 maggio del 1997. Qui è stata celebrata una solenne liturgia eucaristica. La chiesetta, senza tetto, è posta sul rilievo di una collina fitta di alberi, a pochi passi dalla zona dove si trova la torre del primo miracolo. Ha l’abside diretta ad oriente verso Gerusalemme, così come vuole la tradizione cristiana ed è collocata in un luogo di pellegrinaggio tra i più frequentati d’Italia dai gitani di ogni gruppo, specie dai Rom abruzzesi, i Kangherì Romanì. Voluta dai rom e sinti la chiesetta è stata inaugurata il 26 settembre 2004. Si tratta del primo esempio di luogo di culto eucaristico al mondo dedicato ad un rappresentante del popolo rom. Zefferino Himènez Malla, infatti, è il primo zingaro martire della fede cristiana elevato agli onori degli altari in quanto assassinato per la fede durante la guerra civile spagnola nel 1936. Nel giorno della beatificazione Giovanni Paolo II disse che “è necessario che si superino antichi pregiudizi, che vi hanno portato a soffrire forme di discriminazione e di rifiuto, che talvolta conducono ad una inaccettabile emarginazione” del popolo zingaro.
Papa Francesco, che incontrerà oggi i rom e sinti in udienza in Vaticano – il 26 ottobre del 2015, incontrando i partecipanti al pellegrinaggio del popolo gitano, ha sottolineato che ogni persona ha diritto ad una vita dignitosa, ad “un lavoro dignitoso, all’istruzione e all’assistenza sanitaria”. “Vorrei che anche per il vostro popolo – ha affermato il Papa – si desse inizio a una nuova storia, a una rinnovata storia. Che si volti pagina! È arrivato il tempo di sradicare pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze che spesso sono alla base della discriminazione, del razzismo e della xenofobia”. “Nessuno si deve sentire isolato, nessuno è autorizzato a calpestare la dignità e i diritti degli altri. È lo spirito della misericordia che ci chiama a batterci perché siano garantiti tutti questi valori”. E nel 2014 ha incoraggiato quanti si impegnano “in favore di chi maggiormente versa in condizioni di bisogno e di emarginazione, nelle periferie umane”. (Raffaele Iaria)