Il decennio di Carta di Roma: come l’informazione descrive (e scrive) la storia delle migrazioni

19 Dicembre 2022 – Roma – È fine anno. L’anno della guerra riesplosa in Europa e del soccorso dei civili, in Ucraina e fuori. Ed è la fine di un decennio di serrata dei confini e militarizzazione del linguaggio. È il decennio di “Notizie dal fronte” raccontato dall’Associazione Carta di Roma, nata per correggere l’informazione sulle migrazioni. Perché le parole dei comunicatori (stampa e tv, ma anche social) sono specchio di come evolve ed è percepito il fenomeno, e dicono molto del mondo attorno. Lo dimostrano i termini simbolo di questi 10 anni: Lampedusa nel 2013, Mare nostrum nel 2014, muri nel 2016. Virus nel 2020. E se non sono neutrali, e celano un messaggio, le parole non sono neanche innocue, ma hanno il potere di cambiare la realtà. Carta di Roma lavora ogni giorno a responsabilizzare chi narra la migrazione, facendo passare di qui la promozione dei diritti di chi migra o è immigrato. Poi, una volta l’anno, si ferma e fa il punto. Per l’ultimo rapporto, presentato a Roma, Ucraini è la parola del 2022. Sulla loro fuga dall’invasione si è concentrato il racconto. Con nuovi protagonisti, indicati dal ricercatore Giuseppe Milazzo: l’accoglienza e la voce dei rifugiati. Il dovere di rendere la persona il centro della storia, contro la narrazione spersonalizzata del flusso, torna in tutti gli interventi, di Centro Astalli, Tavola Valdese, Usigrai. Nello Scavo di Avvenire ha un’altra preoccupazione: descrivere il sistema di cui i migranti sono vittime, nominare i responsabili delle loro sofferenze, a partire dai padroni delle partenze dalla Libia. Per smontare equivoci e falsità, come sulle Ong, per cui Anna Meli di Cospe vede il rischio di nuove generalizzazioni in negativo.

L’omissione è colpevole quanto la notizia scorretta, conferma Valerio Cataldi, presidente di Carta di Roma, e se l’informazione degli ultimi anni, smettendo di tambureggiare sugli ingressi per concentrarsi su pandemia, guerra e crisi economica, ha limitato il lessico di allarme, e il clima d’odio che ne nasce, il silenzio completo fa dimenticare difficoltà irrisolte, avverte Ilvo Diamanti dell’Università di Urbino. Secondo David Recchia di Acli, c’è una paura che non va taciuta: non quella immotivata che il migrante incute, ma la paura che il migrante prova, per cui parte. Presidiare l’Ucraina è doveroso, ma ora c’è bisogno che i giornalisti riprendano il racconto spezzato degli altri 59 conflitti contati da Amref. La Siria, il Sahel. La Somalia, da cui Francesca Mannocchi riporta immagini di bambini minacciati dal morbillo, troppo piccoli e leggeri a causa della malnutrizione. Un vaccino e del cibo terapeutico basterebbero a salvarli, e invece muoiono. L’attenzione mediatica sposta gli aiuti internazionali – l’Ucraina lo dimostra – per questo il racconto è urgente. La regista Sahraa Karimi prega di riaccendere la luce sull’Afghanistan. E si deve spiegare che la siccità e la carestia che falcidiano la Somalia, come le divisioni e il fondamentalismo che opprimono l’Afghanistan, non sono fenomeni improvvisi né passeggeri. Che la violenza, l’insicurezza che ostacola anche l’intervento umanitario, la crisi climatica e la povertà, legate tra loro, non sono emergenze, ma durano e s’aggravano se non si interviene. La buona informazione risale all’origine dei viaggi che hanno termine nelle nostre città: si conquista il tempo per approfondire e lo spazio per riferire. Poi segue le rotte fino alle frontiere: mostra la cornice degli accordi tra Stati per sigillare i confini e la disumanità dei loro metodi, senza abbandonare la prospettiva della persona, che attraversa il deserto, è incarcerata e torturata, s’imbarca, si salva o muore. A destinazione, infine, descrive le nostre nuove società multietniche, e il potere benefico dell’inclusione. Non chiama chi arriva clandestino, né migrante – come fosse destinato a non radicarsi mai, nota Marco Tarquinio, direttore di Avvenire – ma gli dà voce come nuovo cittadino, al di là dello status legale. Dopo un decennio, l’ideale di Carta di Roma è più vicino ma non ancora raggiunto. Oggi si distinguono richiedenti asilo e rifugiati e si è allentata l’associazione tra immigrazione e criminalità, ma la Carta merita realizzazione piena. Scritta per i giornalisti, detta regole buone per ciascuno. Una società più attenta e consapevole è anche più rispettosa e aperta, più attiva contro condotte e politiche razziste. Migliorando il modo di dire le cose, ci ritroveremo a migliorare la realtà.   (Livia Cefaloni)