15 Dicembre 2022 – Roma – Lo scorso 12 dicembre, nella Sala Capitolare della biblioteca Spadolini del Senato, è risuonata una conversazione speciale, accesa e commossa come accade quando il pensiero si volge a personalità straordinarie. Si parlava di un uomo che ha vissuto il Novecento ma non vi è rimasto rinchiuso, e ha oltrepassato il suo secolo con lo sguardo. Che senza rappresentare nessuno ha rappresentato moltissimo, un sindaco con la statura da leader morale globale. Che credeva che, radicata nel profondo dell’uomo, vi fosse un’aspirazione naturale all’unità e alla pace: lui la vedeva, dietro gli orrori e le divisioni del suo tempo. Un uomo che è sceso nella Storia senz’armi e, disarmato, ha contribuito a scriverla. Contraddittorio e profetico, religioso di una religiosità totale, in continua tensione tra l’ideale e il materiale, tra spiritualità e politica.
Si parlava di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, padre costituente, in corso di beatificazione. L’occasione è stata la presentazione della nuova biografia a cura di Giovanni Spinoso e Claudio Turrini, intitolata “I capitoli di una vita” nello sforzo di fare ordine nella ricchezza di esperienze, approfondite grazie all’archivio della Fondazione La Pira. Eppure, la riflessione che ne è nata non ha somigliato affatto alla rievocazione di una figura storica. Come si è arrivati a parlare di Ucraina invasa, di migrazione dall’Africa subsahariana, di disuguaglianze sociali e di diritti delle future generazioni? Che c’entra La Pira nel mondo globalizzato e tecnologico di oggi, conteso tra nuove potenze, riscaldato e inquinato in modo quasi irreparabile? La scoperta è sorprendente: la sua visione può guidare la nostra contemporaneità, al punto che possiamo leggere i tomi sulla sua vita come fossero la nostra agenda. Idee che al tempo prefiguravano il futuro, col materializzarsi delle difficoltà che prevedevano, sono diventate proposte d’azione per il presente. Non basta più studiarlo, il dovere oggi, dice la presidente della Fondazione Patrizia Giunti, è mettere in pratica il pensiero lapiriano.
A partire dal suo cuore: la centralità della persona umana. La necessità di valorizzarla nella specificità della sua condizione, specialmente se di emarginazione, come fece La Pira quando allestì la messa dei poveri di San Procolo e quando ospitò, nei colloqui mediterranei del maggio 1961, i rappresentanti dell’“Africa Nera”. Convinto che il futuro appartenesse a chi era rimasto indietro fino ad allora: che serviva la forza degli ultimi per ricomporre le fratture della Storia, come ha detto Andrea Riccardi, storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e che l’Africa subsahariana sarebbe stata centrale nel mondo che veniva. Intravedeva già, forse, l’Europa di oggi, afflitta dalla decrescita della popolazione e dalla scarsità di risorse. Le energie nuove si concentrano tutte davvero al di là del deserto, il cuore dell’Africa accoglie la gioventù del mondo. In mezzo c’è il Mediterraneo, su cui La Pira immaginava un ponte, e che invece è diventato la barriera contro cui i sogni di quella gioventù si infrangono, la trappola in cui quelle energie si sciupano. Quanto sarebbe diversa la risposta di oggi alla spinta migratoria da sud, se ci si concentrasse a cogliere il potenziale nelle vite di chi migra e nei Paesi che queste si lasciano dietro? Ma lo sguardo al mondo extraeuropeo, raccomandava La Pira, deve liberarsi della fame colonizzatrice e convincersi della realtà di una pari dignità tra popoli.
La Pira credeva in un’unica umanità e in un’unica Chiesa. Promosse in prima persona il dialogo tra popoli divisi, come l’israeliano e il palestinese, e il dialogo con altre religioni. Sfogliare la vita di La Pira evoca oggi l’Ucraina: il suo insegnamento avrebbe impedito il formarsi stesso del sostrato di avversione, anche religiosa, del conflitto attuale, e l’avrebbe ripianato presto, tramite la sua avanzatissima idea di giustizia internazionale. L’ha spiegata il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano: anche se solo per regolarla, il diritto internazionale continua a prevedere la guerra, e così a legittimarla. Invece, deve cancellarsene l’ipotesi in radice, rendendo vincolante lo strumento della negoziazione. La pace è un diritto che ha radice nella natura stessa dell’uomo, ne è l’aspirazione più profonda, scritta – ha detto ancora Parolin – sui volti delle madri e dei profughi di ogni Paese in guerra. Un diritto anche delle prossime generazioni, se produrre armi, imbracciarle e farle esplodere distoglie energie dalla sfida prima della tutela del pianeta: ostacola la riparazione della Terra, e anzi ne aggrava lo stato.
Sull’Africa, sull’Ucraina, La Pira non si sarebbe rassegnato all’impotenza: avrebbe nutrito il dialogo, da qualsiasi livello fosse stato possibile. Come ha concluso Romano Prodi, sarebbe stato anche pronto a gesti simbolici dirompenti. Se possiamo immaginarcelo così bene, se gli studi ci restituiscono la figura in modo così vivido e il pensiero in modo così profondo, prendiamo ispirazione. Leggiamo la biografia di La Pira come fosse l’agenda del nostro tempo. (Livia Cefaloni)


