Cristiani e nomadi: lettera pastorale dell’arcivescovo di Torino

Torino – La terza parte della Lettera pastorale dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia sul tema “ Non stranieri ma concittadini e familiari di Dio, dedicata al popolo nomade e presentata questa mattina nel corso di una conferenza stampa – è indirizzata alle comunità cristiane della diocesi. Mons. Nosiglia ricorda che da tempo la Chiesa torinese “ha visto fiorire splendide vocazioni di dedizione ai Rom e Sinti” e lancia la sua provocazione: “mi chiedo se tra voi non ci siano giovani, famiglie, sacerdoti, religiose, anziani che potrebbero ‘adottare’ nell’amicizia fraterna una famiglia rom o una famiglia sinta. Forse vivono proprio vicino a voi, ai confini delle vostre parrocchie. Forse sono lontani; ma si sa che i poveri non sono di nessuno: chiunque si può legare a loro. Chissà che qualcuno tra voi non possa accompagnare amichevolmente, fraternamente, una famiglia a trovare casa, ad avviarsi al lavoro, a superare le difficoltà con la scuola, a farsi curare quando è necessario, a condividere le gioie e i dolori della vita”. Non si tratta di inventare gesti eccezionali, ma di saper coltivare la propria capacità di accoglienza nella vita quotidiana: esattamente come i cristiani torinesi sono capaci di fare, con grande generosità ed efficacia, di fronte a tante altre emergenze o situazioni di povertà. È un modo di testimoniare il Vangelo, e dunque di farlo conoscere anche fra chi apparentemente ne è più lontano. L’Arcivescovo scende poi nel dettaglio di indicazioni pastorali specifiche per la catechesi rivolta ai nomadi, rivolgendosi anche “a chi non professa la fede cristiana”. A questi “dico di non temere: la Chiesa attraverso i suoi figli e figlie che vengono a trovarvi e si coinvolgono con i vostri problemi vi è vicina e amica perché ci unisce tutti la fede in Dio misericordioso e potente, la ricerca dei valori di giustizia, amore vicendevole e pace. Gli oratori e i gruppi associativi, le scuole e le realtà sportive sono cantieri privilegiati dove si può sperimentare l’incontro amicale e apprezzare le diversità”. Sull’istruzione scolastica, e quella professionale in particolare, l’Arcivescovo si sofferma nell’ultima parte della Lettera, per sottolinearne l’insostituibile valore di strumento di formazione e integrazione reciproca. Rivolgendosi infine “a tutti gli uomini di buona volontà” mons. Nosiglia chiede di “non rassegnarci a considerare il problema dei Rom e Sinti irrisolvibile. Mettiamoci insieme in gioco e scegliamo la via non solo del confronto ma dell’impegno fattivo delle buone opere e non scoraggiamoci di fronte alle inevitabili sconfitte, ma continuiamo a scommettere sul ‘sogno’ che ho cercato di descrivere in questa Lettera. Non è solo il mio e di tanti volontari e operatori che lavorano nei campi e con i rom e sinti, ma è – ne sono certo – il sogno di Dio, di quel Dio che ascolta il grido del povero e ci ha mostrato in Gesù il volto, le mani e il cuore di una persona umana aperta a tutti sempre e comunque che ci ha comandato di amare anche i nemici e chi ci ha fatto del male”.