Piacenza – «Cinque anni fa, non avevamo nessun sacerdote indonesiano. Ora ne abbiamo 15. A fine 2012, tra i nostri padri c’era un solo vietnamita, adesso sono 9 e il prossimo anno ne saranno ordinati 8». Il carisma del beato Giovanni Battista Scalabrini sbarca in Asia e apre nuove strade all’Istituto dei missionari di san Carlo Borromeo. «Come il nostro fondatore, anche noi siamo sempre in cammino, per dare risposte nuove a fenomeni nuovi», sottolinea padre Luis Antonio Diaz Lamuz, colombiano, membro della Direzione generale della Congregazione che si prepara a celebrare i 130 anni di fondazione e il ventennale della beatificazione del vescovo che a fine Ottocento ebbe l’intuizione di assicurare un accompagnamento ai tanti italiani emigrati nelle Americhe. È Piacenza, la diocesi che Scalabrini guidò dal 1876 al 1905 e dove ha sede la casa-madre dell’Istituto, ad ospitare domani in via Torta (ore 9-18) il convegno di studi in occasione del doppio anniversario. Sarà un’opportunità per riflettere sulle moderne sfide dell’emigrazione a partire dalla sollecitudine pastorale di due pionieri: il beato Scalabrini, appunto, e santa Francesco Saverio Cabrini, della quale ricorre quest’anno il centenario dalla morte. Tra i relatori l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente emerito all’Onu, Luigi Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero e politiche migratorie del ministero degli Esteri, il giornalista Gian Antonio Stella, la madre generale delle missionarie cabriniane Barbara Luise Staley, lo scalabriniano padre Gelmino Costa, suor Leocadia Mezzomo delle missionarie scalabriniane. Porteranno il loro saluto anche i vescovi di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, e quello di Lodi, diocesi natale della Cabrini, Maurizio Malvestiti. Era il 28 novembre 1887 quando, sulla tomba del patrono di Piacenza sant’Antonino, fecero la loro promessa don Giuseppe Molinari e don Domenico Mantese, i primi due missionari al servizio dei migranti. A distanza di 130 anni, la storia si ripete. Non ci sono più gli italiani nella condizione di emergenza e abbandono, tacciati in massa di essere delinquenti e portatori di malattie. Ci sono altre nazionalità. E, spesso, altre fedi. «Il nostro carisma è sempre attuale perché, come aveva intuito Scalabrini, l’emigrazione è un fenomeno permanente dell’umanità», riflette padre Diaz Lamuz, che abbiamo incontrato a Piacenza in occasione del mese di formazione dei giovani scalabriniani. «In un fenomeno negativo, ovvero le persone che emigrano per fuggire alla povertà o a condizioni difficili – prosegue –. Scalabrini vedeva la Provvidenza all’opera, per portare il seme del Vangelo in altre terre e non solo per custodirlo nel cuore di chi già lo aveva ricevuto, ma anche per condividerlo con coloro che ancora non lo conoscono. Anche oggi attraverso l’accoglienza, la solidarietà e il rispetto delle differenze, si può fare evangelizzazione».
I missionari di san Carlo Borromeo, nati in Europa, cresciuti nelle Americhe, stanno conoscendo una nuova stagione della loro storia in Vietnam, in Indonesia e nelle Filippine. Una piccola comunità è a Taiwan, seguita da un missionario cinese, e una in Giappone. “Ponti, non muri” è lo slogan che contrassegna i loro progetti, e non solo in riferimento ai richiedenti asilo. Le barriere possono resistere anche all’interno delle nostre chiese, tra cattolici di nazionalità diverse. «A volte si cerca di organizzare l’orario della domenica in modo che tutti abbiano uno spazio, ma senza incrociarsi – fa notare padre Diaz Lamuz –. Così non va bene. Non c’è accoglienza vera senza un incontro». (Barbara Sartori – Avvenire)


