Mons. Trevisi: “Trieste, avamposto d’Europa”

5 Luglio 2024 – di Paolo Lambruschi

«Mi piace pensare che questa città stia vivendo un grande fermento non solo turistico, e che dopo il ‘900 oggi la frontiera sia un avamposto in Europa che unisce popoli culture». Da 15 mesi Enrico Trevisi, sessantenne lombardo di Cremona, è vescovo di Trieste, capoluogo giuliano che ospita un’edizione particolare delle Settimane sociali che si aprono oggi con il capo dello Stato e che papa Francesco chiuderà domenica. Dalla sua residenza nella centralissima via di Cavana, in mezzo agli stand delle Buone pratiche, vediamo insieme a lui che città trovano i delegati in arrivo da ogni parte d’Italia.

Ci sono tante comunità a Trieste che da secoli convivono. È un laboratorio di dialogo o è difficile praticarlo?
Guardiamo alla storia. La Chiesa cattolica è costitutivamente italiana e slovena, con tradizioni, spiritualità e confronti di diverse comunità linguistiche. Quando Trieste divenne porto franco dell’impero asburgico, attirò diversi popoli e anticipò i tempi per quanto riguarda la libertà religiosa. La comunità ebraica qui ha costruito ad esempio la seconda sinagoga più grande d’Europa come dimensioni e la comunità serbo- ortodossa e greco-ortodossa hanno i loro templi perché l’impero austro-ungarico attirò anche persone ricche garantendo loro esenzioni dalle tasse, all’incirca come i paradisi fiscali di oggi, e tolleranza. Ma l’eredità del ‘900 porta con sé le tragedie delle due guerre mondiali e di quello che ne è seguito. Qui le popolazioni si sono sovrapposte, hanno convissuto pacificamente per decenni e poi si sono fatte del male. In questa terra tutti legittimamente possono sentirsi vittime per aver subito tante violenze, ma poi il risentimento fa passare alla vendetta e a seconda di quando si comincia a guardare la storia, ci si sente vittime e ci si scopre anche complici.

E che compito ha in questo campo la Chiesa di Trieste oggi?
Ha il compito di incoraggiare una vera elaborazione storica che diventa una purificazione e una bonifica. Perché se è vero che la memoria diventa la nostra identità, se questa è inquinata da fonti avvelenate, offre frutti velenosi. Trieste è orgogliosa dei suoi tanti templi di diverse fedi, è una città laica e distaccata, ma tollerante e ha un estremo rispetto, ma deve ricostruire una memoria condivisa. Abbiamo bisogno di questa operazione e come Chiesa ci siamo inseriti da tempo in questo cammino. Ci sono esperienze positive, mentre altre vivono ancora la fatica dell’incontro e il dialogo ecumenico qui è ancora elitario. Per noi è corretto partecipare attivamente a questo processo e il tema di queste settimane sociali dedicate a partecipazione e democrazia ci offre un metodo. Allo stesso tempo noi ci mettiamo i valori per i quali ci sentiamo fratelli tutti per contribuire a realizzare una comunità e una società nella quale ci sia il rispetto del più fragile e del più vulnerabile e ci sia la salvaguardia del bene comune, della giustizia, della solidarietà e della sussidiarietà.

A parte i migranti chi sono i poveri?
Gli anziani, ad esempio. Incontro spesso persone che vivono ai piani alti senza ascensore e raramente possono uscire. In questa città dove il monte è attaccato al mare ci sono salite ripidissime e barriere architettoniche che bloccano i disabili. E poi non dimentichiamo la vulnerabilità e la fragilità dei più giovani. Va benissimo il bonus psicologo, però non dovremmo provocare una fragilità così forte ad esempio con lo sfruttamento lavorativo, dobbiamo farcene carico stando accanto e incoraggiando.

Come ha partecipato la città all’organizzazione della Settimana sociale?
Mi hanno colpito tante piccole cose, dalle lettere degli anziani delle case di riposo al Papa scritte spontaneamente a quelle dei bambini. Alcune scuole hanno assemblato una tovaglia grandissima con tanti tessuti diversi, legando storie. Anche i detenuti hanno collaborato a realizzare le pissidi per la celebrazione di domenica col Papa. Le persone più piccole e più fragili hanno colto prima di tutti gli altri che stava accadendo qualcosa di grande a Trieste.

(Avvenire, 3 luglio 2024)