Al cinema per vedere come le relazioni umane cambiano il mondo: la rassegna di DUN e Migrantes

13 Giugno 2023 – Roma – Lo scorso fine settimana è tornata a Roma la rassegna di cinema dell’associazione DUN – presieduta da Barbara Massimilla –  sostenuta dalla Fondazione Migrantes. Il proposito era il consueto: “S-cambiamo il mondo”, mescoliamo le culture e sensibilità, ascoltiamo e dialoghiamo, e in questo modo trasformiamo la realtà. La Casa del cinema di villa Borghese è stata lo scenario: parole immagini e note musicali si sono rincorse senza sosta nei due lunghi pomeriggi di sabato e domenica, pervadendo l’aria e le menti, tra le poltrone rosse di sala Cinecittà e l’arena all’aperto riscaldata dal tramonto, mentre l’intenso programma scorreva e gli ospiti si davano il cambio, provenendo da mondi tanto diversi, ciascuno per condividere le proprie esperienze. I temi ispiratori della rassegna sin dalla nascita – i diritti di tutti, come recitava il titolo di quest’anno, l’identità propria e dell’altro e il loro incontro, la libertà del singolo e dei popoli – sono stati osservati in questa sesta edizione attraverso la speciale lente della relazione umana, messa in mostra con diversi linguaggi d’arte, moda, canto, musica e soprattutto cinema. La scelta deve essere stata naturale per DUN, che da sempre persegue la multiculturalità e usa l’arte come mezzo preferito. Nata per curare le ferite psicologiche di persone segnate dal distacco dal proprio Paese, da un percorso migratorio spesso ostacolato, pericoloso e violento, dal difficile inserimento in una realtà nuova e non sempre accogliente, DUN sa bene che l’attenzione all’altro è la base per la guarigione del singolo come per l’avvio del lungo cammino che porta a cancellare le cause delle sue sofferenze. L’incontro, la conoscenza e la comprensione, che partano dal piccolo, dal margine di una strada o da una sala proiezioni, sprigionano una forza che scavalca i confini, e cambia il mondo. Così, la rassegna ha esplorato il tema della relazione in profondità e selezionato film che lo declinassero in tutte le sfumature. La relazione con la terra e le origini, con la Cisgiordania in 200 metri di Ameen Nayfeh e con la Siria in Nezouh di Soudade Kaadan, che i papà dei due film si ostinano a non voler lasciare, nonostante la loro vita lì si sia trasformata in una lotta per la sopravvivenza, a causa dell’oppressione e della guerra. Le relazioni familiari, messe alla prova, spezzate e a fatica ricucite, da un lato all’altro del muro israeliano che isola Tulkarem e sotto le bombe che sbriciolano le case di Damasco, che hanno già costretto tutti gli altri a fuggire. La relazione sentimentale, la tenerezza del primo amore tra Zeina e Amer, che infonde nuova voglia di credere nel futuro che li aspetta al di là del mare, quando la guerra sarà alle spalle. L’amicizia, che rende inseparabili Tori e Lokita nel film di Luc e Jean-Pierre Dardenne: stringendosi l’uno all’altra contro i colpi di una società – la francese in cui sono immigrati – che li respinge e li emargina, i due ragazzi costruiscono un legame che non sarebbe più forte se fossero davvero fratelli, come cercano di far credere per penetrare le barriere normative, ottenere i documenti e così conquistarsi due sole cose: trovare un posto nel mondo e starci insieme. La stessa solidarietà fraterna che nasce tra i giovani in viaggio verso l’Italia in Trieste è bella di notte (di Calore, Collizzolli e Segre), intrappolati nel game tra i Paesi balcanici, che cucinano, cantano e pregano insieme, e insieme partono, lungo percorsi accidentati e clandestini, sono respinti tante volte e ce la fanno solo a fortuna: chiedere protezione è un loro diritto, ma le leggi europee della frontiera gli impongono di conquistarselo sfidando la morte. Per due giorni la Casa del cinema è diventata un’isola: Roma è scomparsa da dietro i pini mediterranei di villa Borghese, ed è iniziato un viaggio verso mete lontane. Si sono ascoltate storie di resistenza, dall’architetto Elias Anastas, che sceglie di restare e coltivare i suoi progetti in Palestina, e storie di lotta per i diritti, dalle attiviste Ziba Gul e Zahra Tawfiq, venute a ricordare la resistenza domestica delle donne afghane e il coraggio rivoluzionario di quelle iraniane, e il loro bisogno di supporto internazionale. Nelle esibizioni dei laboratori di DUN, si è visto come la multiculturalità arricchisce ogni cosa, dalla moda al canto di un coro. Le storie piccole e universali illuminate sullo schermo hanno accompagnato ad immedesimarsi nelle identità, nelle violazioni e nelle sfide dell’altro, facendole sentire come fossero le proprie. Grazie al suo lavoro a fianco dei migranti, DUN realizza ogni giorno che l’incontro rende spontaneo prendersi sulle spalle le ingiustizie e le lotte dell’altro, e così alleggerirle e, passo dopo passo, provare a vincerle. Questa rassegna è un altro modo per farlo sperimentare. Se anche quest’anno ha suscitato un pensiero diverso e scatenato un sentimento nuovo, allora un altro pezzetto di mondo è cambiato.  (L.Cefaloni)