Alluvione in Emilia Romagna: il campo nomadi dimenticato

25 Maggio 2023 – Ravenna – Non sono arrivate mai, le idrovore, al 26/A di via Giardino. Non è intervenuta la Protezione civile, non sono passati gli angeli del fango chiedendo se c’era bisogno di aiuto. «In Comune non sanno nemmeno se siamo vivi o morti» ripete Azzomara, che è un fiume in piena come quelli che hanno distrutto la Romagna. Benvenuti al campo sinti di Sant’Agata sul Santerno (Ravenna), coi suoi 50 alluvionati dimenticati da tutti. La lista è su un foglio che Antonio agita per aria, recitandolo come un censimento: «Jonny Orfei con la moglie Natascia Minguzzi e i figli Samira di 3 anni e Jonathan di 14. Ricky Orfei con la moglie Michela Major e la figlia Sheryl di 7 mesi. Richard De Barre con la moglie Jessica Sgroi e la figlia Chantal di 3 anni…». Nel gruppo che s’è raccolto sul piazzale ricoperto di melma rispondono all’appello alzando la mano, uno a uno. Alla fine di bambini se ne contano una quindicina, di cui la metà fra i 3 mesi e i 3 anni. Più due disabili, Fatima Minguzzi e suo figlio Alessandro, che sono seduti su ciò che resta della loro casa, tra cavi divelti e la carrozzina elettrica ricoperta di fango che serviva a lui per deambulare: «Non si accende più, abbiamo perso anche questo» ripete la sorella Jenny.
Il campo di Sant’Agata esiste da trent’anni e non è affatto abusivo, anzi. Nato dall’intuizione inclusiva della Comunità Papa Giovanni XXIII, ceduto in comodato d’uso dal Comune di Sant’Agata sul Santerno vent’anni fa proprio all’associazione perché supervisionasse il progetto di insediamento, sistemato con un ultimo investimento – nel 2019 – di 70mila euro (che è servito a rifare l’impianto elettrico, rinnovare le casette con lavori di falegnameria e dotare ognuna di esse di una colonnina per le utenze), è ciò che in Romagna si chiama una “micro- area”: i sinti sono per lo più giostrai, significa che sei mesi l’anno portano in giro attrazioni e bancarelle nei luna park che brulicano di turisti sulla Riviera, ma tutti hanno la residenza qui, i bambini vanno a scuola in paese, alcuni dei figli più grandi lavorano nelle ditte della zona, Kevin addirittura gestisce un’autorimessa tutta sua. «E tutti paghiamo tasse e bollette. Vita da nomadi per gli altri – dice Natascia -, ma è la nostra vita, vale come le loro. Queste sono le nostre case, sono come tutte le altre». Ovvero distrutte. Mostra assieme a Jonny quel che è rimasto del suo caravan: l’acqua del Santerno nel campo è salita a un metro e mezzo la notte del 17 maggio sommergendo strutture fatte per lo più di legno. Il risultato è che a sette giorni di distanza dall’alluvione i pavimenti stanno cedendo, gli infissi si aprono, le pareti si sollevano: «Sono spugne intrise d’acqua». La comunità s’è spostata a vivere nei centri d’accoglienza per gli sfollati allestiti a Lugo e Massa Lombarda: la notte dormono lì, di giorno tornano per provare a salvare qualcosa.
Natascia, oltre ai suoi due figli, ne ha tre in affido: «Queste famiglie sono eccezionali, grandi lavoratori, brava gente – spiega Daniele Severi, responsabile dell’ambito rom per conto dell’associazione -. Qui abbiamo realizzato un progetto eccezionale di inclusione, i più piccoli sono perfettamente integrati nella comunità, gli adulti partecipano attivamente alla vita sociale». Kevin, col suo rimorchiatore, i primi giorni dopo il disastro è andato ad aiutare in centro a Sant’Agata la gente che ha perso tutto: «Ero convinto che arrivassero anche qui, noi siamo un po’ fuori dal paese». E invece niente, nessuno: «Pensano che siamo zingari, ladri – sbotta Gianni, che di cognome fa Lakatos -. Ma stavolta io vado a dirglielo, al sindaco, che non possono trattarci così. Va bene che siamo gli ultimi, l’ultima ruota del carro… però non è giusto». Gianni è tra i più anziani del gruppo, nel campo di via Giardino ci vive da trent’anni quasi con la sua Loredana, i due figli e adesso i nipotini: Jordan, l’ultimo arrivato, a 2 mesi è sfollato, sistemato da amici altrove; Sofia a 6 è sull’ovetto nel patio della roulotte, che la mamma Giuly ha tirato a lucido dal fango con lo sgrassatore. «Non serve a niente, perché dentro non si può stare».
Il Comune, per parte sua, assicura che è stato e verrà fatto tutto il possibile: «Abbiamo allertato i Servizi sociali, io stesso sono andata ad assicurarmi che tutti stessero bene, i bambini sono stati sistemati nelle strutture d’accoglienza di Massa Lombarda» sostiene la vicesindaca e assessora ai Servizi sociali e educativi Lilia Borghi, che da sempre collabora proficuamente con la Papa Giovanni sul progetto nomadi.
Sant’Agata sul Santerno d’altronde è un paese in ginocchio: 2.900 abitanti sorpresi dalla piena violenta del fiume, di cui centinaia ancora fuori di casa. Le vie d’accesso al centro sono ancora bloccate, « proprio in queste ore siamo riusciti a far partire un punto medico e uno di consulenza psicologica. È un’emergenza mai vista, ma riusciremo a ottenere un aiuto per tutti».
Daniele prova a convincere tutti che serve pazienza, che qualcuno prima o poi arriverà. Telefona anche alla referente regionale del Movimento Kethane, Donatella Ascari, che mette in vivavoce per tranquillizzare le famiglie: «Siamo al lavoro per fare una prima conta dei danni subiti dalle comunità rom e sinti sul territorio – conferma lei -, per ora siamo attorno ai 600mila euro. La vostra è la micro-area più colpita e lo sappiamo. Abbiamo anche chiesto un incontro con le autorità regionali». (Viviana Daloiso)