Vangelo Migrante: II domenica di Pasqua (in Albis e della Divina Misericordia) | Vangelo (Gv 20, 19-31)

13 Aprile 2023 – ‘In albis’ è il nome che deriva dal rito festoso della deposizione delle vesti bianche di coloro che sono stati battezzati la notte di Pasqua: tolta quella, indossano l’abito della quotidiana testimonianza da rendere al Risorto. San Giovanni Paolo II aggiunse il titolo della ‘Divina Misericordia’, per celebrare solennemente il dono dell’amore di Dio ricevuto, da custodire e per cui gioire. Una festa nella festa: la vita di Dio ricevuta in dono nel battesimo è l’amore incondizionato di Dio donato a noi nella Resurrezione di Gesù, il centro, il perno, l’origine della nostra fede.

Il Vangelo di questa domenica ci dice dove vive questo dono: nella Chiesa. La comunità crede-celebra-vive del risorto mentre è radunata attorno agli Apostoli.

Quando si parla di Tommaso, le nostre attenzioni, in genere, vanno tutte sulla sua incredulità; il Vangelo, invece, indugia su un altro aspetto: quando racconta cosa accade la sera dello stesso giorno e otto giorni dopo, sottolinea che l’incontro con Gesù avviene nella Chiesa e il succitato apostolo la prima volta è assente, la seconda è presente. L’appuntamento con il Signore è nel Cenacolo. È lì che lo incontri.

Sia chiaro: Dio può decidere di incontrare ogni uomo dove e quando vuole; ma è pur vero che ogni incontro si conclude sempre in un Cenacolo (con gli apostoli ma anche con Paolo dopo la caduta da cavallo: nel cenacolo di Damasco). Prima ancora della sua titubanza, Tommaso è vittima di una mancanza oggettiva: l’assenza dal Cenacolo.

Il senso dell’Eucarestia, dell’invito di ogni uomo attorno alla Mensa del Signore, è proprio in questo incontro con Lui. Tutt’altro che scontato: Dio è uno per tutti, ma non sempre la mensa è la stessa per tutti! A volte, nelle nostre comunità, le dovute attenzioni pastorali alle diversità, ma anche i cortesi dinieghi, rischiano di creare veri e propri parallelismi; assieme al rischio, tuttavia, c’è anche la grande opportunità per essere autenticamente comunità di Gesù, accogliente e inclusiva.

Dinanzi a questi limiti Gesù sa che per il fatto che siamo umani, siamo portati a dividerci, a risentirci e a dimenticarci di Lui. È per questo che fra Lui e i discepoli (noi) piazza lo Spirito Santo: “alitò su di loro …”. La fede è un dono. Dio lo fa a tutti. Per averla, assieme al Suo soffio, occorre anche inchinarsi, come Giovanni alla porta del Sepolcro, e accoglierla con la presenza nel Cenacolo.

Con la fede non si anestetizzano le diversità ma le si conferisce un senso. Non girano a vuoto ma sono intercettate da Dio che si fa trovare (e va a trovare) da chiunque lo cerca con cuore sincero!