Consiglio Europa: condannata Italia per accoglienza e respingimenti

31 Marzo 2023 – Bruxelles  – Condizioni di accoglienza disumane, detenzione illegale, deportazione di massa senza esame individuale. È dura la condanna contro l’Italia emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (dipendente dal Consiglio d’Europa, che non c’entra con l’Ue). L’ennesimo caso di una lunga serie di condanne dell’Italia sul fronte dei migranti. Non solo: sempre ieri l’organo anti-tortura del Consiglio d’Europa (Cpt) ha bocciato i respingimenti alle frontiere marittime e terrestri dell’Unione europea. Nel mirino anche i maltrattamenti dei migranti.
Al centro dell’esame del Consiglio d’Europa è stata la vicenda di quattro tunisini nati tra il 1989 e il 1993, partiti verso l’Italia su barchini improvvisati nell’ottobre del 2017 e poi salvati da una nave italiana. Furono quindi portati nell’ hotspot di Lampedusa per l’identificazione e la registrazione. A quel punto, hanno denunciato alla Corte, furono tenuti per dieci giorni in stato di detenzione senza potersi allontanare né interagire con le autorità, il tutto, in condizioni «disumane e degradanti». Poco dopo i quattro, insieme ad altri 40 individui, sono stati portati all’aeroporto dell’isola e poi allo scalo di Palermo per esser rimpatriati. Questo dopo aver dovuto firmare solo subito prima dell’imbarco documenti che non capivano, risultati poi essere ordini di divieto d’ingresso della questura di Agrigento.
Circostanze che hanno spinto la Cedu a condannare l’Italia per tre fattispecie: violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti umani (divieto di trattamenti disumani e degradanti); dell’articolo 5 paragrafi 1, 2 e 4 (diritto alla libertà e alla sicurezza); e dell’articolo 4 del protocollo n.4 (divieto di espulsione collettiva).
« La Corte – si legge nel comunicato – ha rilevato in particolare che il governo non è stato in grado di replicare alle accuse che le condizioni nell’hotspot fossero inadeguate; che la loro (dei cittadini tunisini, ndr) presenza in loco fosse una detenzione che non era il risultato di un ordine ufficiale né limitata al tempo necessario per chiarire la loro situazione o inviarli altrove, come lo richiede la legge; la loro situazione non è stata oggetto di una valutazione individuale prima dell’adozione dei decreti di respingimento, nei quali hanno ravvisato un’espulsione collettiva».
La Corte avverte che l’hotspot in cui erano alloggiati i quattro «era circondato da sbarre, catenacci e barriere» e che i tunisini « non erano autorizzati a uscire», con «insufficienza di igiene e spazio». «Sarebbe bene – dichiara la Cedu – che il legislatore verifichi la natura degli hotspot, nonché i diritti materiali e procedurali delle persone che vi si trovano ». Soprattutto, «le difficoltà provocate dall’afflusso di migranti e richiedenti asilo non esonerano gli Stati membri dai loro obblighi nel quadro dell’articolo 3 (della Convenzione, ndr) ». Inoltre «il governo non ha dimostrato che l’ingresso era stato rifiutato ai ricorrenti, che una decisione di rimpatrio fosse stata presa o che fosse avviata una procedura di espulsione prima che gli interessati si vedessero consegnare all’aeroporto i decreti di respingimento».
Non basta. « Il governo non ha confutato l’accusa dei ricorrenti, secondo la quale non sono stati ascoltati individualmente prima che fossero firmati i decreti di respingimento».
Dunque vi è «un’espulsione collettiva contraria alla Convenzione ». L’Italia dovrà pagare a ciascuno dei quattro tunisini 8.500 euro per danni morali più 4.000 euro per le spese processuali. (Giovanni Maria Del Re – Avvenire)