In Famiglia: un passaggio difficile

12 Gennaio 2022 –  

Dopo la nascita di Gesù, gli evangelisti, come molti di noi sanno, riducono al minimo le informazioni su di lui e i suoi genitori, tanto che alcuni dei cosiddetti vangeli apocrifi hanno sentito la necessità di colmare questo vuoto con racconti edificanti, piccoli miracoli o altro che caratterizzasse la vita del Figlio di Dio che “cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e di Grazia di Dio” (Lc 2, 39). Quali pensieri avranno attraversato quel bambino così speciale eppure nato come tutti gli altri? Quale consapevolezza sulla sua reale identità nel nascondimento della vita quotidiana in quel di Nazareth? Quanto amore avrà ricevuto dalla sua inimitabile madre? Quante cose gli avrà saputo insegnare suo padre… dalle preghiere, ai primi rudimenti del lavoro? Esegeti e teologi hanno speso pagine e pagine, ma di fatto non sappiamo niente, possiamo solo fare delle congetture dettate dalla nostra fede e dal nostro amore, ma chissà quanto fondate. È verosimile che la piena umanità di Gesù abbia comportato anche per lui una graduale comprensione della sua natura e della sua vocazione, per tutta la sua breve vita, fino a quel momento decisivo nell’orto degli Ulivi, in cui ancora il Figlio si affida totalmente alla volontà del Padre e la assume con tutta la sofferenza di un uomo. In questo spazio che sono i primi 30 anni circa della vita di Gesù, vi è un episodio, raccontato solo da Luca (Lc 2, 41-52) che ha illuminato generazioni di genitori e che da sempre ispira le famiglie cristiane. Si tratta di quel grande spavento che Gesù dodicenne procurò ai suoi genitori fermandosi coi dottori nel Tempio di Gerusalemme, mentre loro ritornavano dall’annuale pellegrinaggio alla città santa. Quella famiglia che noi definiamo “sacra”, ligia alle tradizioni e fedele nell’ascolto del Signore, non è esentata da un momento di grande turbamento, un disincanto, una vera e propria crisi. Gesù è cresciuto, è nell’età del Bar Mitzvah, il rito con cui ogni ragazzo ebreo assume in prima persona la sua professione di fede, un po’ come per noi cristiani il sacramento della confermazione. Gesù “passa” all’età adulta e non è quello che i suoi genitori si aspettano, o meglio: è proprio colui che i suoi genitori in qualche modo sanno dovrà diventare, ma che, nella loro fragile umanità, Maria e Giuseppe faticano ad accettare pienamente. Si tratta di un passaggio decisivo, a cui poi negli anni ne saranno seguiti sicuramente molti altri. Maria, “stupita”, non comprende, redarguisce il figlio coinvolgendo anche il marito nella sua apprensione (“Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” Lc 2, 48), Gesù risponde “sganciandosi” dall’affidamento ai suoi genitori e riferendosi al Padre suo nei cieli, ma loro per il momento non comprendono; accettano e – si dice per Maria, ma vale senz’altro anche per Giuseppe – “custodiscono tutte queste cose nel loro cuore” (Lc 2, 51). Non è forse questa la dinamica a cui tutti i genitori sono chiamati? Lasciare andare chi hanno accudito e protetto fino a quel momento, fidarsi dei disegni di Dio su quel figlio che non è loro possesso, ma una vita pienamente libera di adempiere una volontà a loro superiore. È uno dei compiti più difficili per ogni madre recidere il cordone ombelicale e non meno duro è per i padri svincolarsi da tutti i sogni e i progetti che si sono fatti sui propri eredi. Non sempre va come abbiamo immaginato, anzi, quasi mai, ma il Signore è fedele alla sua promessa di pienezza e nutre e sostiene ciascuno di noi a tempo debito. Ai genitori cristiani in una parola è chiesto di “non temere” (l’invito che nella Bibbia compare 366 volte, una per ogni giorno, anche negli anni bisestili!), a “lasciare andare” per la strada che è tracciata per ogni figlio dell’uomo da un Amore più grande di ogni nostro timore, più potente di qualsiasi nostra angoscia e che dona “sapienza e grazia” ad ogni nostro passo.  (Giovanni M. Capetta – Sir)

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