GMMR: spunti per l’omelia

26 Settembre 2020 – La liturgia di questa domenica ci ha fatto ascoltare alcune delle parole più scandalose e taglienti di Gesù, che rivolge ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio”. Queste parole esprimono una esperienza che Gesù ha fatto e che ritroviamo più volte nei Vangeli. Egli ha trovato più ascolto e più accoglienza fra coloro che erano additati come peccatori e messi ai margini, che fra la gente così detta per bene, che era solita sbandierare la propria religiosità. Dobbiamo essere consapevoli di questa distanza che c’è fra il nostro modo di pensare e il modo di pensare di Dio. Non solo al tempo del profeta Ezechiele, ma anche oggi, anche nella Chiesa, molti giudicano che “non è retto il modo di agire del Signore”, e questo in particolare in riferimento agli stranieri e ai rifugiati. Che non è retto il modo di agire di questo Papa, che ecceda nella misericordia. Ma il Signore risponde anche a noi: “Ascolta dunque, casa d’Israele: non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?” La parabola dei due figli che Gesù racconta, e che troviamo solo nel Vangelo di Matteo (non dimentichiamo che anche lui era stato un pubblicano), ci suggerisce almeno due considerazioni. Anzitutto che in questo mondo non possiamo giudicare nessuno e che spesso le apparenze ingannano. Saremo giudicati alla fine da Dio. Commenta San Giovanni Crisostomo: “Per questo vi ripeto: colui che recita in teatro non deve disperare, mentre colui che vive nella Chiesa non deve essere mai troppo sicuro della sua salvezza (…). Nessuno di coloro che sono nel peccato disperi, Dio non è come gli uomini. Se noi ci pentiamo, non dice: perché sei stato lontano tanto tempo? Ma ci ama quando ritorniamo. Tali sono i paradossi e i prodigi di Dio. Il pubblicano è diventato evangelista e il bestemmiatore discepolo”.

In secondo luogo la parabola ci ricorda che saremo giudicati non dalle nostre parole ma dalle nostre azioni, dalla nostra vita e non dall’abito o dai simboli religiosi che mostriamo. Come scrive Sant’Ireneo: “È meglio non dirsi cristiani ed esserlo, che dirsi cristiani e non esserlo”. Come il Padre della parabola che invita i suoi figli a lavorare nella sua vigna, papa Francesco nel suo messaggio per questa giornata, che riguarda la condizione degli sfollati interni, ma anche dei tanti che vivono condizioni di precarietà o di abbandono in mezzo a noi, ci invita non a bei discorsi, ma a delle azioni molto concrete. A quelle che indicava nel suo messaggio per la GMMR del 2018 – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – aggiunge altre sei coppie di verbi legati fra loro da una relazione di causa effetto: conoscere per comprendere, farsi prossimo per servire, ascoltare per riconciliarsi, condividere per crescere, coinvolgere per promuovere e collaborare per costruire. Vorremo limitarci a dire un sì con le labbra o, come il primo figlio, se pure dopo un iniziale rifiuto, cercheremo di realizzare almeno qualcuna di queste azioni? (Don Gianni De Robertis)

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