Mons. Raspanti su incontro di Pace di Bari: vogliamo creare un modello condiviso

14 Gennaio 2020 – Roma – “Non ci potrà mai essere un’Europa stabilmente in pace, senza pace nel Mediterraneo”. Il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della CEI,  ha usato questa metafora per lanciare l’incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo, che dal 19 al 23 febbraio prossimi vedrà radunati a Bari – insieme al Papa, che domenica concluderà l’incontro con una Messa da lui presieduta – vescovi provenienti da tre continenti: Europa, Asia e Africa. Ne parliamo con Mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale,  Vicepresidente della CEI e coordinatore del Comitato organizzativo.

Manca ormai un mese all’appuntamento di Bari: a che punto siamo nella preparazione, e quale è stata la risposta delle Chiese delle due sponde del Mediterraneo?

La preparazione procede speditamente e siamo in linea con i tempi stabiliti. Abbiamo la risposta positiva di tutti gli invitati, che si sono prenotati già con i loro delegati. Ciò sembra denotare un reale interesse verso l’incontro, soprattutto in seguito agli eventi spiacevoli di queste ultime settimane. Gli aspetti logistici sono ormai nella fase di realizzazione: alloggi, spostamenti, predisposizioni degli spazi di lavoro e di preghiera. Quanto ai contenuti, stiamo mettendo a punto le introduzioni alle tematiche e i testi ai quali i delegati dovranno lavorare. Avremo degli ultimi incontri per mettere a punto il metodo di lavoro, con i facilitatori e i segretari dei tavoli che si costituiranno per la discussione. La Chiesa di Bari sta designando luoghi e parrocchie che saranno coinvolti nell’evento. Circa ottanta vescovi italiani si sono prenotati per essere presenti ai momenti pubblici del sabato pomeriggio e della domenica.

Come si articoleranno le giornate di Bari, e quale clima si respira aspettando Francesco?

Abbiamo pubblicato il sito, dove si può trovare il programma delle giornate. Il clima è dunque di lavoro intenso e, ovviamente, anche di curiosità e di attesa, visto che è la prima esperienza del genere e nulla è scontato.

La venuta del Santo Padre conferisce all’incontro un valore molto alto, perché sappiamo che egli si attende delle conclusioni concrete e pratiche, come pure vorrà offrirci indirizzi illuminanti per il discernimento pastorale e il contributo che le nostre comunità potranno dare ai Paesi nei quali vivono.

Il Papa ha voluto essere presente a Bari, nella messa conclusiva. 

Quello del Mediterraneo, come ha dimostrato di recente anche a Napoli, è un tema a lui molto caro. Quanto al metodo, nel discorso che ha tenuto all’assemblea CEI di maggio  il Papa ha raccomandato la sinodalità come modo di essere di tutto il popolo di Dio, di cui la collegialità è una forma specifica che riguarda l’esercizio del ministero episcopale. A Bari, in sintonia con le indicazioni del Santo Padre, vogliamo creare un modello mentale condiviso, per dare il nostro contributo ad alcuni problemi che ci interpellano più da vicino, ma anche dare nuova spinta all’evangelizzazione, al processo di pace, alla trasmissione della fede, con tutte le sue difficoltà. Un messaggio, quello che parte da Bari, che intende coinvolgere non solo la comunità ecclesiale, ma l’intera società.

Francesco, a Napoli, ha delineato una “teologia dell’accoglienza” che consiste nell’avviare processi e nell’adottare il dialogo come metodo. E’ questa la “teologia del Mediterraneo”?

Il dialogo è la parola-chiave, e la necessità più urgente è quella di trovare un metodo di dialogare. A Napoli il Papa parlava di teologia, come servizio alla vita della Chiesa: lo spunto per fare teologia, per pensare la fede e renderla più consapevole per il popolo di Dio, secondo Papa Francesco non viene soltanto all’adattare la teologia o la tradizione dottrinale della Chiesa conservata in formule, ma dall’esperienza, dalla capacità di entrare in contatto con al vita cristiana nei vari ambiti e territori. In questo modo la teologia si può lasciare interrogare, può “fare rete” con la concretezza della vita cristiana e così intercettare le sfide della società.

Il Mediterraneo può essere un luogo di guerre o di voglia di unità, un luogo dove le migrazioni vengono associate alla ricerca della propria dignità oppure al contrario un luogo in i diritti umani vengono calpestati o derisi. Un mare di morte o un ponte di accoglienza.

È a partire da questo che la teologia deve interrogarsi. C’è una grande sintonia tra quella che il Papa a Napoli ha definito “teologia in contesto” e l’impostazione del nostro incontro: se parte dal basso, dalla vita realmente vissuta, la teologia può andare più a fondo per riflettere sulla sua missione, altrimenti rimane staccata dalla società e dalla vita concreta delle parrocchie. Questo non vuol dire che la teologia debba diventare catechesi, ma che deve essere disponibile a ricevere un grande impulso dal vissuto concreto della gente. Il primo imperativo, allora, come raccomanda il Papa è l’ascolto. (SIR)

 

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