Torino “Aumentano le richieste presso l’Ufficio Pastorale Migrantes della Diocesi di Torino di informazioni da parte di giovani in partenza per diverse destinazioni europee. La loro preoccupazione è di avere contatti con altri italiani nel luogo di destinazione. L’ultima richiesta è di qualche giorno fa: la destinazione di una giovane laureata era Helsinki”. A raccontare il fenomeno è Sergio Durando, Direttore dell’Ufficio Migrantes della Diocesi di Torino in apertura dell’incontro di presentazione del Rapporto della Fondazione Migrantes “Italiani nel Mondo”, tenutosi il 21 marzo scorso. “Presi dalle emergenze delle migrazioni in entrata, ci siamo dimenticati dei flussi in uscita. I dati però raccontano di un fenomeno che va riconosciuto e a cui dare un’attenzione prioritaria. A partire dal lavoro Pastorale della Chiesa, concentrato negli ultimi decenni in particolare sulla migrazione straniera in Italia e sulle emergenze dell’accoglienza degli ultimi anni”.
La Fondazione Migrantes nei tredici anni di lavoro di ricerca sul fenomeno della emigrazione ha messo in evidenza alcuni diritti che dovrebbero essere imprescindibili e universali. Primo fra tutti, il diritto alla mobilità per chi ha la volontà o la necessità di emigrare. Poi viene il diritto di restare a vivere dignitosamente nel proprio paese per tutti i cittadini, senza essere costretti ad andarsene. Oggi si ribadisce un terzo diritto: quello di tornare. La fotografia emersa giovedì 21 marzo a Torino è che non sempre chi emigra verso paesi esteri ce la fa. Così come succedeva in tempi remoti, anche oggi non tutti gli italiani all’estero sono riusciti a integrarsi nei nuovi paesi di destinazione. Molti di loro vorrebbero tornare, ma non riescono. A raccontare il fenomeno è stata Delfina Licata, ricercatrice e curatrice del Rapporto annuale “Italiani nel mondo” della Migrantes. Homeless italiani a Londra, italiani irregolari in Australia, detenuti italiani nelle carceri del Regno Unito, ma anche sparsi per tutto il Mondo. A partire, infatti, non sono solo persone altamente qualificate e preparate al processo migratorio. Partono anche italiani che non conoscono la lingua del paese ospitante, non ne conoscono neppure le leggi, e partono senza un progetto professionale almeno abbozzato. Nelle capitali europee sono sempre più numerosi i giovani italiani in stato di depressione. Per questa fascia di persone, soprattutto, Licata afferma che il processo di migrazione è unidirezionale: non si può scegliere di tornare.
128.193 è il numero dei connazionali che nel 2017 ha lasciato l’Italia e si è iscritta all’AIRE come espatriato, 8.798 riguardano il Piemonte, sesta regione italiana dopo Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Sicilia e Puglia per numero di espatri. Milano, Roma, Genova, Torino e Napoli sono le prime cinque province di partenza. Si tratta soprattutto di giovani tra i 18 e i 34 anni (37,4%), seguiti dai giovani adulti tra i 35 e i 49 anni (25%). A stupire sono le partenze delle persone più anziane: gli over 65 hanno avuto un incremento di +35,3% e gli over 75 addirittura del 78,6%. “Si tratta dei genitori dei giovani espatriati che, stremati dalla lontananza, scelgono di ricongiungersi ai figli – afferma Licata – o di anziani soli, sull’orlo della povertà, che seguono la loro badante nel paese di origine, unica persona rimasta di riferimento”.
Eugenio Marino, nel suo intervento, ha presentato il lavoro di ricerca sull’emigrazione attraverso la canzone italiana a partire dalla fine del 1800, lavoro pubblicato nel volume “Andarsene sognando. L’emigrazione nella canzone italiana”. “L’Italia ha tra i suoi tratti fondanti la migrazione e la canzone più di altre discipline ne ha raccontato gli aspetti socio-politici”. Lo ha fatto con sensibilità culturali molto diverse, che vanno dalle canzoni di denuncia a quelle in cui si minimizza, nasconde, o mistifica il fenomeno. “Con versi dal linguaggio ricercato, che affonda le radici nella tradizione classica italiana, o altri sperimentali, di rottura”, racconta l’autore. Nella sua ricerca, Marino concentra l’attenzione sui testi, valutandone contenuti, contesti, poeticità e stili, sottolineando le trasformazioni sociali, musicali e linguistiche, gli influssi e le tradizioni, evidenziando ciò che lega il mondo della canzone a quello dell’emigrazione, ma anche, nell’ultima parte, dell’immigrazione. Si va pertanto dall’ironia di Renato Carosone a Domenico Modugno, dall’impegno politico di De Gregori alla “scuola genovese”, alla profondità di De André o Guccini, fino a Caparezza. “Dall’800 a oggi – afferma Marino – sono cambiate le condizioni generali, ma il tratto migratorio resta”. Tra le canzoni commentate, l’ultima è di Simone Cristicchi “Cigarette”, testo tratto da una relazione dell’Ispettorato del Congresso americano sui migranti italiani. Eccone l’incipit:
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.
Poi però, dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra di loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti”.
A chiudere l’incontro, il collegamento skype con Don Luigi Usubelli, Missionario Migrantes per gli emigrati italiani a Barcellona, che racconta degli 80 mila connazionali che vivono in città. “Il mio lavoro pastorale è pluridirezionale, mi occupo infatti di una pastorale di strada”, racconta. Questo è un buon modo di favorire l’integrazione con la popolazione locale ed evitare l’isolamento creando delle Little Italy.
La testimonianza dalla Svezia, invece, ha dato voce a un giovane migrante italiano, Marco Berera, che nonostante i suoi 15 anni vissuti in giro per l’Europa, ancora è pronto a nuove esperienze migratorie. “Da Torino mi sono spostato a studiare a Parigi. Ho poi lavorato a Montpellier per un periodo. Ritornato in Italia, sono stato a Roma per lavoro per qualche anno, per poi trasferirmi in Polonia e per ultimo in Svezia”, racconta Marco. La città in cui dice di aver sofferto la solitudine è Roma. “Ho una moglie peruviana – racconta – conosciuta a Torino e una figlia di due anni che è nata in Polonia e che vive in Svezia. Torniamo spesso a Torino a trovare la famiglia e un giorno, lontano, vorremmo tornare”. Nel frattempo la loro intenzione è di fare almeno un’altra esperienza di mobilità in Europa o nel Mondo.
Il tema della mobilità è “liquido per eccellenza. La mobilità è fluida e cangiante e dobbiamo continuare a studiare il fenomeno andando oltre l’usuale”, conclude Delfina Licata.(Uff. Migrantes Torino)