Mons. Felicolo: paura non è la risposta

Macerata – Sull’immigrazione è cambiato il linguaggio: non quello della Chiesa, ma quello della società civile, e mi piace essere qui a pochi giorni dalla visita del Papa a Sacrofano, dove ha incontrato un buon numero di operatori di accoglienza che hanno accolto i migranti assecondando i suoi appelli. Ricordo che il Papa si è rivolto agli istituti religiosi chiedendo loro: “Per favore aprite le porte, mettete a disposizione anche solo un letto!”. Poi l’ha ripetuto con più forza includendo nell’appello anche le parrocchie. In un Angelus ha chiesto: “Chi sono i migranti?” e ha risposto: “Uomini e donne come noi”. Nell’omelia di Sacrofano è arrivato a dire: “Dovremmo cominciare a ringraziare … gli ‘altri’ che bussano alle nostre porte, offrendoci la possibilità di superare le nostre paure per incontrare, accogliere e assistere Gesù in persona”.

Per questo tra noi vogliamo recuperare un linguaggio autentico, semplice ma efficace, che non parta dalla paura. Dobbiamo parlare della realtà della migrazione con un linguaggio differente – e quindi problematico, complesso, articolato –, ma non permeato dalla paura.

Se ci facciamo condizionare dalla paura, questa ci aggredisce alla minima cosa diversa ci succeda: il cambiamento mette paura, l’incontro con un altro, un diverso, ci incute timore… L’unico modo per uscirne positivamente è passare dal linguaggio della paura a quello della comprensione, e questo vale anche per l’immigrazione.

La paura può anche essere il punto di partenza, ma va superata. Se facciamo questo passo ci accorgiamo che gli immigrati sono uomini e donne come noi, con lingue diverse, culture diverse, ma questa è una ricchezza straordinaria, non un motivo di ostilità. C’è tutto un mondo che noi dobbiamo accompagnare e sostenere nella Chiesa. Nella storia dell’emigrazione italiana – che è emigrazione a tutti gli effetti: nel bene, con tutto ciò che di straordinario hanno fatto i nostri emigranti, ma anche nel male, pensiamo alla mafia italoamericana –, la Chiesa ha sempre avuto un ruolo fondamentale. La pastorale dell’emigrazione non è ‘nuova’, è antica perché attinge dall’esperienza delle comunità italiane all’estero, quando abbiamo aiutato gli italiani, siciliani o friulani, a non perdere la fede.

Oggi è una pastorale che va svolta assieme: ed ecco la collaborazione di Migrantes, con Caritas, Comunità di Sant’Egidio, Acli, Focolari, ApiColf, Centro Astalli… Ci mettiamo in rete.

Facciamo accompagnamento alle persone: nella ricerca del lavoro, nella comprensione della lingua. Noi di Migrantes offriamo questo nelle cappellanie, non nell’orario che ci fa comodo, ma quando possono i migranti, per aiutarli a imparare rapidamente l’italiano, in quanto la lingua è l’arma per entrare con efficacia in relazione. Una comunità che accompagna nel lavoro, nella tutela dei diritti, nel rinnovo del permesso di soggiorno, nelle difficoltà… Un aiuto a superare la paura. La realtà migratoria è variegata: guerra, profughi, richiedenti asilo… Nei ‘Promessi sposi’ Renzo e Lucia non fuggono forse da un tiranno? Nell’ “addio ai monti…” Lucia si presenta come profuga; Renzo e Lucia vanno nel regno di fronte per salvarsi la pelle. Si scappa solo per guerra o violenza, o si scappa anche per fame? E se scappi per fame, non hai alcun diritto?

Serve certo una regolazione, non soltanto in Italia, ma a livello europeo. Bisogna poi tenere conto che uno dei motivi per cui si fugge è quello ambientale, il cambiamento climatico. Se tra poco si verificherà la desertificazione del Kenya; se la zona del Cairo, coi suoi 11 milioni di abitanti, diventa desertica, tanta altra gente sarà spinta a scappare.

Tutto ciò compone una situazione di estrema complessità cui non si può rispondere solo con la paura. Questa va affrontata non parlando di numeri, ma affrontando ogni volta un volto, una storia, e dietro il volto nasce una relazione. E quindi insegnamento dell’italiano, aiuto nella ricerca del lavoro, permesso di soggiorno… e quanto è importante la fede! Quanto questa ha aiutato gli italiani e quanto oggi aiuta i filippini, i peruviani, gli ucraini nel cammino, nel rapporto col proprio Dio a sostenere le fatiche di ogni giorno, le incomprensioni, le ingiustizie che fai e che ricevi.

Sottolineo l’importanza del lavoro in rete, collaborando, uscendo da un linguaggio retorico di circostanza per confrontarsi con la complessità. In rete si fa non “controinformazione”, ma informazione, parliamo del Vangelo: gli immigrati sono uomini e donne come noi. Dobbiamo adottare un linguaggio nuovo, forgiato sul linguaggio dell’amore, che è tutt’altro che retorico. Un linguaggio nuovo per nuove speranze, perché chi viene qui non si esaurisce nell’identità di “migrante” ma è una persona concreta, ha delle speranze.

Nel 2017 titoli della grande informazione potevano essere raggruppati in: 40% su sbarchi, 34% su immigrazione, criminalità e sicurezza, 11% su accoglienza: che messaggio passa? Solo allarme! Il nostro obiettivo non è quello di far aprire le porte di casa, ma quelle del cuore, perché se si spalancano queste, si apre anche la casa. 



(Questo testo riproduce ampi stralci della relazione di Mons. Pierpaolo Felicolo, Direttore Migrantes di Roma, su “Immigrazione tra percezione e realtà”, all’incontro di presentazione del  Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e  Fondazione alla Domus San Giuliano di Macerata.)