Milano – “Mentre le letture politiche, sociologiche, storiche, cronachistiche possono leggere il convergere di molti popoli come un problema da affrontare, come una minaccia da cui difendersi, come un fenomeno da regolamentare, i discepoli di Gesù che formano la Chiesa cattolica continuano a dimorare nello stupore, ad essere fuori di sé per la meraviglia, ad ascoltare la parola degli Apostoli che danno testimonianza della Pasqua del Signore con un annuncio che risponde alle attese di tutti”. Così scrive l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini nella lettera “Ti mostrerò la promessa sposa, sposa dell’Agnello” che accompagna le costituzioni sinodali “Chiesa dalle genti, responsabilità e prospettive. Orientamenti e norme “promulgate in Duomo dallo stesso presule, al termine della Messa per la Giornata della vita consacrata. Si entra così nella fase di recezione del Sinodo minore Chiesa dalle genti intrapreso dalla diocesi per continuare ad “abitare da cristiani” una società nella quale i flussi migratori “sono a un tempo causa ed evidenza paradigmatica dei processi di trasformazione che hanno sempre più palesemente globalizzato e internazionalizzato le terre ambrosiane”, si legge nel documento “Le ragioni di un Sinodo”, anch’esso diffuso durante la celebrazione.
Il cammino sinodale ha molto da dire e da offrire, non solo alla comunità ecclesiale ma anche alla società civile e alla politica. Come, ad esempio, l’apertura ad uno sguardo più profondo e realistico sulle migrazioni. “Volutamente costruito come percorso ecclesiale, e di conseguenza tenuto al riparo da incroci con l’attualità sociale e politica che sul tema delle migrazioni si trova sovraesposta, il Sinodo ha inteso comunque sin dall’inizio avere valore culturale. Ovvero – spiega il documento Le ragioni di un Sinodo – dentro un’arena pubblica che ha fatto del tema dei migranti il capro espiatorio e la cortina fumogena in grado di mascherare le debolezze e la non sostenibilità dei nostri attuali stili di vita, esibire la possibilità di un’alternativa: si può vivere il cambiamento innescato dall’accelerazione delle migrazioni come l’occasione per declinare in termini nuovi la nostra identità tradizionale. Non più l’assioma ‘noi con la nostra identità’ contro ‘una immigrazione che ci contamina e cancella il nostro futuro’, quanto piuttosto ‘con noi’ ‘ogni persona che abita questa terra’ – da maggiore o minore tempo – per osare sintesi nuove, accettando di lasciarsi coinvolgere dentro il mutamento in atto. Di fronte al cambiamento non chiediamo soltanto agli altri di cambiare, ma accettiamo di metterci in gioco in prima persona. In questo modo diamo la possibilità alla nostra fede cristiana, alla nostra identità ambrosiana, di sprigionare le sue energie migliori nella costruzione di sintesi nuove”.
Il Sinodo chiama la comunità cristiana a un impegno caritativo e solidale – al quale vanno associati anche gli immigrati – capace di farsi educazione e cultura, e ad un “nuovo forte investimento della politica”, anche riavviando scuole e percorsi di formazione. Le costituzioni sinodali parlano di “sfida politica”. E chiedono di formare “una coscienza politica orientata al bene comune e al riconoscimento dell’appartenenza di tutti all’unica famiglia umana”. La Chiesa dalle genti “non può non ascoltare la voce dei tanti che domandano accoglienza, riconoscimento, solidarietà, giustizia, partecipazione, per poter costruire assieme un futuro di felicità e pace”. Zone pastorali e decanati in particolare sono invitati a coltivare un “proficuo dialogo” con gli enti locali, secondo “la logica del buon vicinato”, facendo rete con quanti sono “chiamati per primi a gestire la sfida dell’accoglienza e della solidarietà”.
“Un dialogo – si sottolinea nelle costituzioni sinodali – che non dimentica il discernimento e lo spirito profetico; potrà quindi diventare critico qualora si renda necessario dar voce al bisogno di giustizia sociale espresso dai poveri o l’azione delle Amministrazioni locali si rivelasse contraria ai principi di accoglienza e solidarietà su cui si fonda la Chiesa dalle genti”. (Lorenzo Rosoli)