Torino – “Il Vangelo ci ricorda che non c’era posto per Maria e Giuseppe a Betlemme. La famiglia di Nazareth ha dovuto trovare un riparo provvisorio in una grotta, per accogliere la nascita del Figlio di Dio, tra l’indifferenza generale degli abitanti della città. È quanto ancora oggi si ripete per tanti anche nei confronti delle fasce più deboli e meno protette della popolazione, tra cui i Rom”.
Lo dice l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, dopo aver visitato, come già negli scorsi anni, alcuni campi rom della città. Il presule è rimasto molto colpito dalle persistenti condizioni di degrado in cui vivono tante famiglie e in particolare i numerosi bambini e ragazzi. In questi giorni la vita nei Campi – afferma mons. Nosiglia – “appare in contrasto ancor più stridente con le luci e i consumi della città, con il clima di festeggiamenti in cui siamo immersi. E fa tornare con forza la domanda sulla nostra capacità di accogliere, di riconoscere e rispettare l’identità delle persone anche nelle diversità dei loro costumi e stili di vita”.
Una domanda “coinvolge in pieno” anche le comunità cristiane e ci interpella tutti” dice il presule: “anche noi continuiamo ad avere le stesse difficoltà degli abitanti di Betlemme nell’accogliere chi sta ai margini della città? Io credo ci sia bisogno di risposte concrete, di aiuti specifici e mirati, che vanno a integrare e rafforzare lo spirito di carità che già anima il nostro impegno.
Il degrado in cui vivono tanti minori rom, la convivenza con vere e proprie discariche di rifiuti e in alcuni Campi non autorizzati, la mancanza di servizi essenziali – acqua, luce, gas, servizi igienici – aggrava ancor più la già molto difficile condizione di vita delle famiglie. A questo si aggiungono poi le difficoltà ad essere accettati come cittadini, l’indifferenza dei più, la diffidenza o il rifiuto di
una certa cultura dominante. Eppure molte di queste famiglie sono tra noi da decenni, i loro figli nati qui vanno a scuola con i nostri ragazzi e appartengono alla medesima Unione Europea.
Se per le amministrazioni è difficile gestire questo problema dato anche lo scarso consenso da parte della gente, si apre uno spazio di azione forte e convincente per la comunità cristiana che deve sempre cercare solo il consenso del Signore e non quello degli uomini, senza il timore di contrastare, con l’amore e l’accoglienza, il rifiuto e la discriminazione verso ogni persona e famiglia”.
Il degrado in cui vivono tanti minori rom, la convivenza con vere e proprie discariche di rifiuti e in alcuni Campi non autorizzati, la mancanza di servizi essenziali – acqua, luce, gas, servizi igienici – aggrava ancor più la già molto difficile condizione di vita delle famiglie. A questo si aggiungono poi le difficoltà ad essere accettati come cittadini, l’indifferenza dei più, la diffidenza o il rifiuto di
una certa cultura dominante. Eppure molte di queste famiglie sono tra noi da decenni, i loro figli nati qui vanno a scuola con i nostri ragazzi e appartengono alla medesima Unione Europea.
Se per le amministrazioni è difficile gestire questo problema dato anche lo scarso consenso da parte della gente, si apre uno spazio di azione forte e convincente per la comunità cristiana che deve sempre cercare solo il consenso del Signore e non quello degli uomini, senza il timore di contrastare, con l’amore e l’accoglienza, il rifiuto e la discriminazione verso ogni persona e famiglia”.
Il presule ringrazia per questo quei gruppi di volontari, in particolare giovani – compresi due seminaristi che frequentano i Campi – che “aiutano i ragazzi nel doposcuola e le famiglie per una migliore gestione dell’ambiente del Campo e della loro vita comune. Sta prevalendo purtroppo l’idea che lo sgombero forzato sia una scelta inevitabile e necessaria di fronte anche alle bande organizzate che a volte dominano la vita nei Campi e impongono con la forza il loro potere”. In realtà – spiega mons. Nosiglia – “non si risolve il problema, si sposta solo altrove e si aggrava la situazione di quelle famiglie che vorrebbero cambiare la loro sorte e migliorarla senza rinunziare alla propria cultura, costume di vita e tradizioni”. Da qui anche l’augurio che nel corso di questo anno nuovo 2019 la città, che “ha trovato il metodo e la via per affrontare situazioni che si trascinavano da tempo (come sta avvenendo per il MOI), con l’apporto congiunto di diverse realtà istituzionali sia politiche che religiose, si attivi in modo analogo anche per questa emergenza che non è da meno ma anzi è più difficile e complessa”. (R.I.)