Torino – Da circa un anno in centro a Torino sorge Wild Mazzini, una galleria d’arte che si occupa di dati e information design. Dall’incontro tra percorsi diversi – qualche volta – nascono infatti narrazioni capaci di creare una frattura nel linguaggio artistico, a partire dalla quale si producono nuovi punti di vista, per riflettere diversamente sui fenomeni sociali e culturali contemporanei.
Così, dopo Prospettiva Italia, prima stagione della galleria, inserita nel programma Off del Salone del Libro e conclusa in estate, la seconda stagione espositiva di Wild Mazzini si è aperta a settembre con “Cambi di Stato”, e da novembre con la collettiva di artisti internazionali dedicata al tema delle migrazioni, dal titolo “Where, When, How many?”. L’obiettivo? Provare a p arlare del fenomeno migratorio con un approccio differente: non dal punto di vista politico, della paura o dell’emergenza, ma la ricerca di uno sguardo altro, tramite la forma artistica.
Nell’ultimo anno Torino non è stata nuova a questo cambio di prospettiva: ne sono un esempio i due spettacoli sul tema delle migrazioni, Birdie ed Empire, della 23ª edizione del “Festival delle Colline Torinesi”, così come il progetto “Reverse Angle”, realizzato dal regista Davide Ferrario, con la videoinstallazione alle Ogr in cui trenta migranti si sono trasformati in autori video, ribaltando lo sguardo in un controcampo simbolico sulla città, i suoi abitanti, usi e costumi.
“Where, When, How many?” (in esposizione fino al 6 gennaio) risponde a cinque domande: Quante
persone servono per fare un esodo? Come si misura l’identità di un individuo? Dopo quante generazioni una famiglia può dirsi integrata? Quanti chilometri da casa rendono qualcuno un migrante? Dove iniziano e dove finiscono i confini? Sette opere, tra cui lavori di data journalism, infografiche e anche una mappa, quella di Delphine Papin, cartografa di “Le Monde”, contenuta nel volume Atlante delle frontiere (Add Editore, pagine 140, euro 25). A queste sette opere se n’è aggiunta una in corso alla fine della scorsa settimana: A passo d’uomo, di Carlo D’Oria, scultura in metallo ispirata al progetto di personal data “The Stories Behind a Line”, realizzato nel 2016 dalla designer Federica Fragapane, con l’intento di presentare in chiave visiva e digitale il viaggio verso l’Italia di sei richiedenti asilo, accolti nel centro Cas Migrantes di Vercelli.
Un’opera di impatto quella di D’Oria, che a prima vista ricorda un muro, ma che delinea invece uno
di quei viaggi, da Abidjan, in Costa d’Avorio, fino a Vercelli. Un percorso non lineare, rappresentato in scala, sia in lunghezza che in altezza, a partire dal livello del mare. E infine due miniature di uomini, senza volto ma con un carattere, una posa, uno sguardo su quel viaggio così lungo, complesso e frastagliato. Un approccio, quello della galleria Wild Mazzini, che abbraccia un aspetto più artigianale dell’arte, manuale e tecnico, proprio del fare e del saper fare, per provare ad andare incontro all’esigenza di dover dare una forma ai tanti dati di cui oggi disponiamo. (E.Giannetta – Avvenire)