Roma – Sale la tensione a Tijuana, alla frontiera tra Messico e Stati Uniti, dove nel fine settimana alcune centinaia di migranti, che formano la gigantesca carovana di centroamericani, hanno cercato di entrare a forza negli Stati Uniti, provocando la reazione delle forze federali, che hanno chiuso la frontiera più trafficata del mondo per qualche ora e sparso gas lacrimogeni tra i migranti, compresi donne e bambini. Le autorità messicane ieri hanno annunciato che provvederanno a rimpatriare coloro che hanno cercato di attraversare la frontiera: finora le persone tratte in arresto sono una novantina e una cinquantina, invece, quelle arrestate dalle forze dell’ordine statunitensi. E la situazione rischia di creare strascichi e malumori anche nella stessa Tijuana, città abituata ad accogliere sia i migranti che vivono il “sogno americano” e sperano di transitare negli Stati Uniti, sia i “deportati” espulsi dagli States. Molti, però, non hanno gradito la forzatura dei migranti della carovana, come spiega al Sir dalla città di frontiera messicana padre Andrés Ramírez, responsabile della pastorale della mobilità dell’arcidiocesi di Tijuana. “L’azione di forza di questo fine settimana è stata un errore, bisogna avere pazienza. Tijuana è una città abituata ad accogliere, qui ci sono possibilità di lavoro e noi abbiamo avuto l’esempio dell’esodo degli haitiani. Molti sono rimasti qui”. Prosegue il sacerdote: “Certo, il sogno di queste persone è valido, però devono ascoltare e avere pazienza e rispettare le regole”. Del resto, la realtà appare segnata agli occhi di chi da anni opera nell’accoglienza: “I dati dicono che solo il 3% delle domande di asilo viene accolto, per evadere tutte le domande servirà un anno e mezzo”. Insomma: conviene non considerare Tijuana una città di rapido transito, ma una destinazione che per molte persone potrebbe diventare stabile. La chiusura della frontiera danneggerebbe proprio gli abitanti di Tijuana: “Sono moltissime le persone che lavorano negli Stati Uniti e giornalmente attraversano il confine – dice padre Ramírez -. La chiusura rischia di danneggiare non poco l’economia della nostra città”.
Nonostante queste difficoltà, l’attività di accoglienza prosegue: “Il nostro arcivescovo, Mons. Francisco Moreno, continua a insistere perché la gente sia generosa e porti alimenti e generi di prima necessità al centro di raccolta della Caritas. E il Governo sta pensando a un secondo grande centro di prima accoglienza. Resta la difficoltà di distribuire queste persone nelle varie strutture, poiché spesso vogliono restare insieme senza dividersi in diversi luoghi”.