Bergamo – L’occhio di Google Earth inquadra l’Africa sul maxischermo, lo sguardo dei bambini plana su Senegal e Costa d’Avorio, i Paesi di origine delle tre mamme che siedono in prima fila con vestiti tradizionali e coloratissimi. Sono venute a raccontare la loro terra ai compagni dei loro figli, scolaretti delle primarie della Malpensata, il quartiere più multietnico di Bergamo. Qui il 28% degli abitanti è straniero, in terza ci sono solo 7 piccoli italiani su 25. Nell’asilo parrocchiale 66 bambini su 94 sono figli di migranti, di 14 etnie diverse.
“La realtà è questa, bisogna per forza superare le diffidenze e imparare a convivere” spiega con gioioso pragmatismo Giuliano Magni, presidente dell’associazione Il Bosco, che una volta ogni due mesi organizza la ‘merenda dal mondo’ per favorire le relazioni tra i genitori delle elementari. Quanto ai figli, non sembrano averne granché bisogno. Dopo aver assediato il tavolo imbandito con torte e biscotti, salgono ad appollaiarsi sulle gradinate dell’auditorium. Italiani, senegalesi, indiani, cinesi: sparsi in gruppetti misti, i bambini demoliscono le (presunte) barriere linguistiche e culturali a colpi di scherzi e risate.
Dopo la scuola la ‘multinazionale’ infantile si trasferisce all’oratorio. “Quando giocano a pallone è difficile dire chi è lo straniero, visto che arrivano quasi tutti da paesi diversi” sorride Magni. Il parroco, don Claudio Del Monte, conferma: “Gli avversari a volte ci guardano con gli occhi sgranati, non sono abituati. Ma nello spogliatoio difficoltà non ce ne sono, anzi. Conta fare gol, mica l’origine”. In oratorio la tolleranza è un’abitudine, prima che un valore. “La parrocchia si chiama Santa Croce, e sulla nostra fede non si arretra. Ma abbiamo anche animatori musulmani. Al venerdì, dopo l’Ave Maria, spiegano agli altri ragazzi la loro religione, magari leggendo il Corano”. E pensare che nel 2012 il vecchio parroco aveva eretto una cancellata per impedire ad alcuni clochard di bivaccare sotto il portico della chiesa. “C’erano stati dei problemi – dice don Claudio –, ma sono durati poco. Qualche presenza difficile c’è ancora, però basta chiedere rispetto per il luogo di preghiera e tutti si allontanano senza discutere”.
La Malpensata è un quartiere complesso. Incastrata tra centro e periferia, ospita un albergo per senza dimora e il Patronato San Vincenzo, che dà riparo a tanti migranti. Il parco pubblico prima era terra di spaccio, l’anno scorso il Comune lo ha riqualificato e ha realizzato uno spazio giovani dotato di bar e sale per attività, gestito da una cooperativa di under 30. Presto il parco sarà intitolato a Ermanno Olmi. Il regista nacque nella vicina via Luzzatti, dove sorgono le case popolari, oggi abitate per quasi la metà da stranieri. “Qui è un disastro – sbuffano due anziane – ‘quelli’ fanno come vogliono… sporcano e non rispettano le regole”. Silvano Triboli, pensionato e anima del comitato dei residenti, ridimensiona lo scenario: “Mah, le lamentele più o meno sono le stesse di ogni condominio. Ci sono tanti stranieri, ma per la maggior parte si tratta di brave persone. Noi aiutiamo tutti, senza distinzioni. Con i soldi donati da qualche benefattore ogni tanto facciamo la spesa per i più poveri”. La moglie Cristina gestisce l’emporio solidale del cortile, dove sono stipati vecchi abiti, stoviglie e coperte. Una ragazza senegalese passa a ritirare un paio di scarpe, un papà marocchino rimedia un materasso per il figlio. Tutto gratis. “Vede? Adesso qui c’è pieno di roba, ma entro sera distribuiamo tutto”. In via Luzzatti nessuno parla di ‘inclusione’, semplicemente ‘ci si dà una mano’. Vista da vicino, l’integrazione sembra quasi una cosa semplice. (Marco Birolini)