Sinodo: i migranti come paradigma del nostro tempo

Città del Vaticano – I migranti come paradigma del nostro tempo: è questo uno dei paragrafi del documento finale del Sinodo dei Vescovi che si è concluso ieri a Roma e che ha avuto al centro il tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Secondo i padri sinodali i fenomeni migratori rappresentano a livello mondiale “un fenomeno strutturale e non una emergenza transitoria”. La Chiesa è preoccupata soprattutto per “coloro che fuggono dalla guerra, dalla violenza, dalla persecuzione politica o religiosa, dai disastri  naturali dovuti anche ai cambiamenti climatici e dalla povertà estrema: molti di loro sono giovani. In genere sono alla ricerca di opportunità per sé e per la propria famiglia.  Sognano un futuro migliore e desiderano creare le condizioni perché si realizzi”.

Durante i lavori stati molti i padri sinodali che hanno sottolineato  che i migranti sono un “paradigma capace di illuminare il  nostro tempo e in particolare la condizione giovanile, e ci  ricordano la condizione originaria della fede, ovvero quella di  essere stranieri e pellegrini sulla terra”.  Purtroppo però il movimento migratorio è contrassegnato  oggi da fenomeni di “violenza” e caratterizzato dalla  “vulnerabilità” dei migranti che spesso “partono attirati  dalla cultura occidentale, nutrendo talvolta aspettative  irrealistiche che li espongono a pesanti delusioni”. Il documento sinodale cita i trafficanti “senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della 

droga e delle armi” che “sfruttano la debolezza dei migranti”.

“Va segnalata – si legge nel testo – la particolare vulnerabilità dei migranti minori  non accompagnati, e la situazione di coloro che sono costretti  a passare molti anni nei campi profughi o che rimangono  bloccati a lungo nei Paesi di transito, senza poter proseguire  il corso di studi né esprimere i propri talenti”. 

I giovani che migrano “sperimentano la separazione dal proprio contesto di  origine e spesso anche uno sradicamento culturale e religioso.  La frattura riguarda anche le comunità di origine, che perdono 

gli elementi più vigorosi e intraprendenti, e le famiglie, in  particolare quando migra uno o entrambi i genitori, lasciando i figli nel Paese di origine”.

In questo la Chiesa – si legge nel Documento finale approvato dai 267 padri sinodali – ha “un ruolo importante  come riferimento per i giovani di queste famiglie spezzate.  Ma quelle dei migranti sono anche  storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità  e le società in cui arrivano sono una opportunità di  arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti. Le  iniziative di accoglienza che fanno riferimento alla Chiesa  hanno un ruolo importante da questo punto di vista, e possono  rivitalizzare le comunità capaci di realizzarle”. 

In tutto questo la Chiesa è chiamata ad assumere un “ruolo  profetico”. “Grazie alla diversa provenienza dei Padri,  rispetto al tema dei migranti, il Sinodo – infatti – ha visto  l’incontro di molte prospettive, in particolare tra Paesi di  partenza e Paesi di arrivo. Inoltre è risuonato il grido di  allarme di quelle Chiese i cui membri sono costretti a scappare  dalla guerra e dalla persecuzione e che vedono in queste  migrazioni forzate una minaccia per la loro stessa esistenza.  Proprio il fatto di includere al suo interno tutte queste  diverse prospettive mette la Chiesa in condizione di esercitare un ruolo profetico nei confronti della societa’ sul tema delle migrazioni”. (Raffaele Iaria)