Ivrea – “Ci siamo resi conto che Lei, al recente vertice Ue, ha fatto sentire fortemente la voce dell’Italia; ma siamo stati delusi dalla sordità della maggioranza dei rappresentanti dell’Europa (me lo lasci notare, anche delle nazioni tradizionalmente più ‘cristiane’) e dell’incapacità dell’insieme di mantenere le tradizioni ‘umane’ del nostro Continente e dell’ispirazione iniziale della sua unità”. Lo scrive, con riferimento alla questione immigrati, il vescovo emerito di Ivrea, mons. Luigi Bettazzi, 95 anni e già presidente di Pax Christi, in una lettera aperta al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “Siamo”, aggiunge il presule, “e parlo di tanti di cui ho colto il pensiero – altrettanto delusi che, nella difficoltà di ottenere consensi più ampi, l’Italia rimanga su posizioni di chiusura, forse (ma solo ‘forse’ se guardiamo al nostro passato coloniale o ci proiettiamo sul nostro futuro demografico) comprensibili sul piano della contrattazione, non su quello del riferimento a vite umane”. E ancora: “Siamo tanti a non volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci sentiamo corresponsabili di Governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e continuando a vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e da quelle povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili”. “Vorremmo davvero – scrive ancora Bettazzi – che l’Italia, consapevole della sua tradizione di umanità (prima romana, poi cristiana) non accettasse di divenire corresponsabile di una tragedia, che la storia ha affidato al nostro tempo e da cui non possiamo evadere”. “Al di là di un’incomprensibile indifferenza o di un discutibile privilegio ( ‘prima gli italiani’ – quali italiani? – o ‘prima l’umanità’?!), credo che, nell’interesse della pace, aspirazione di ogni persona e di ogni popolo, l’Italia possa e debba essere – per sè e per tutta l’Europa – pioniera di accoglienza, controllata sì, ma generosa”, la conclusione del presule. (Sir)