Attraverso la parola

Firenze – Le parole non sono solo parole, le parole sono necessarie a capire di chi stiamo parlando, a chi stiamo parlando, come ci stiamo rivolgendo, come consideriamo il nostro interlocutore, qual è o quale vuole essere il nostro atteggiamento dei confronti dell’ “altro”, l’uguale o il diverso che sia, quello che fa parte del “nostro” gruppo o quello che fa parte del “loro”.  Il linguaggio verbale e quello non verbale si intrecciano permettendo agli individui di comprendersi a vicenda. Non sono solo parole. Se si sbaglia a definire un fenomeno, per una sorta di “effetto domino”, si continueranno a commettere errori, uno dopo l’altro e ci si può dimenticare in fretta che i nostri soggetti sono persone, in carne ed ossa.

L’utilizzo  degli stereotipi non ha mai smesso di caratterizzare i discorsi sui Rom; stereotipi e pregiudizi sono lievitati dal 1300 ad oggi per motivi storici, politiche scolastiche, politiche a breve termine, uso improprio dei mezzi di comunicazione, atteggiamenti di chiusura, incomprensioni… Per non parlare di cosa succedeva durante gli anni della scienza razziale o del Porrajmos, lo sterminio di Rom e Sinti durante la Seconda guerra mondiale. Le definizioni di stereotipo sono molte, ma qui considero quella di Brown che dice “Valutare qualcuno attraverso uno stereotipo significa attribuirgli certe caratteristiche considerate proprie di tutti o quasi tutti i membri del gruppo a chi questi appartiene”, ovvero le persone tendono a prendere in considerazione ciò che va a confermare la propria idea, ma si tratta appunto di una tendenza e non di inevitabilità e quindi è possibile, fattibile, porre attenzione e domandarsi qualche secondo in più, perché sto arrivando a queste conclusioni? Quali sono i miei dati e quali le mie fonti? Sono mosso dallo sdegno e dalla rabbia? Dalla semplicità di una risposta rapida e immediata? O ho dei dati oggettivi che vanno a corroborare la mia ipotesi?

Le schedature, i censimenti, non sono una novità di adesso, basta guardare il passato. Dillmann per esempio, capo della polizia di Monaco, nel 1905 scheda 3.350 persone della Baviera. Lista di nomi, che risulterà utilissima al Terzo Reich. Solo 10 anni fa, nel 2008 i prefetti di Roma, Milano e Napoli, nominati commissari straordinari per l’ “Emergenza nomadi”, consegnano al ministro dell’Interno della Repubblica Italiana del tempo, un “censimento” di 12.346, in vista della costruzioni di “villaggi attrezzati” [Piasere 2017], iniziando così il processo di segregazione che, come spiega lo stesso Leonardo Piasere, nel suo libro “L’antiziganismo”, non è altro che una forma di sterminio indiretta. “Segregazione, espulsione e disseminazione, se istituzionalizzate da politiche ad hoc, possono costituire le modalità storicamente diverse di un unico anelito zingaro”,[Piasere 2015].  E’ vero però che solo il buon utilizzo delle parole non basta: sapere di chi stiamo parlando e con chi stiamo parlando è la base  per costruire un dialogo sincero.

Vorrei fare un appello: ascoltarsi di più, capirsi nel profondo è la base da cui si può ripartire. L’integrazione, l’ inclusione o come la vogliamo chiamare, dovrebbe avere lo scopo di guardare e non solo di vedere la persona che si ha davanti, poiché sebbene apparteniamo a dei gruppi, siamo prima di tutto persone. Non è solo un discorso buonista, ma conoscere chi abbiamo davanti realmente, permette di trovare interventi adeguati e risolvere situazioni e problematiche oggettive. Gli stereotipi sono spesso necessari a velocizzare il pensiero umano, ma vanno saputi usare. La realtà multiforme aiuta a dare senso al mondo in cui viviamo, la diversità che si incontra è la base di un dialogo sincero, per la costruzione di qualcosa  di più.

Concludo con questa frase di Bauman: “Penso che la cosa più eccitante, creativa e fiduciosa nell’azione umana sia precisamente il disaccordo, lo scontro tra diverse opinioni, tra diverse visioni del giusto, dell’ingiusto, e così via. Nell’idea dell’armonia e del consenso universale, c’è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali. Alla fine questa è un’idea mortale, perché se davvero ci fosse armonia e consenso, che bisogno ci sarebbe di tante persone sulla terra? Ne basterebbe una: lui o lei avrebbe tutta la saggezza, tutto ciò che è necessario, il bello, il buono, il saggio, la verità. Penso che si debba essere sia realisti che morali. Probabilmente dobbiamo riconsiderare come incurabile la diversità del modo di essere umani”.

Non serve trovare quindi una cura, serve trovare gli strumenti per rendere questa diversità sempre più una risorsa. (Irene Certini – studentessa di Sesto Fiorentino)