Crema – Dopo la Messa celebrata il 14 gennaio, Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, nella parrocchia di S. Bernardino ed animata dalla Comunità africana, questa volta è toccato alla Comunità Latinoamericana animare la Celebrazione della Messa Internazionale nella festività della Pentecoste. Ora niente è più pericoloso e negativo che ridurre ad un semplice meccanismo di alternanza quella che è l’espressione di una comunità.
In realtà la Messa Internazionale è un momento speciale, perché profondamente religioso, all’interno di quel più ampio progetto di apertura a chi non è nato in Italia che il Papa ha ben sintetizzato in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
Linee ispiratrici sono non solo il Vangelo, la Dottrina sociale della Chiesa o le indicazioni della CEI, ma in particolare papa Benedetto XVI, nell’enciclica “Caritas in veritate” ricorda che i credenti, in quanto riconoscono in ogni persona l’immagine e la somiglianza di Dio, hanno le migliori ragioni per testimoniare con coerenza il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana.
Rendere visibile la presenza di ampie Comunità cattoliche, come quella africana o latinoamericana, sono un primo segno importante di cattolicità e di comunione. In secondo luogo sono uno stimolo educativo per tutti i fedeli. Occorre investire intelligenze e risorse perché l’unione e la reciprocità delle relazioni pastorali divengano una costante quotidiana, con disponibilità all’ascolto, al cambiamento e all’apertura reciproca.
Non bisogna certo pensare che tutto questo si realizzi dall’oggi al domani o che bastino un paio di Messe Internazionali…
Le nostre Comunità cristiane devono avere la “pazienza dei tempi lunghi”, respingendo ogni pericolosa tentazione di assimilazione, di omologazione o, peggio ancora, di negazione del valore della diversità.
Al contrario da un lato occorre riconoscere che il fenomeno è davvero complesso e che le paure e le difficoltà esistono (spesso amplificate da certi mass-media in maniera strumentale). Dall’altro bisogna accettare la sfida della “relazione di reciprocità”, convinti che da entrambi i lati è necessario aprirsi a nuovi orizzonti culturali, educativi e pastorali.
Tutti insieme, in una parola, dobbiamo contribuire a costruire insieme “percorsi di fede”, cercando di fare della Chiesa una scuola di comunione.
Spesso succede di essere molto generosi quando si tratta di solidarietà con le missioni lontane, mentre non si nota lo stesso atteggiamento quando si deve essere “fratelli” con il “fratello vicino”.
Poniamoci ad esempio alcune domande:
– Siamo disposti ad organizzare con regolarità celebrazioni liturgiche che riuniscano fedeli italiani e fedeli cattolici provenienti da altri Paesi?
– Curiamo forme di collaborazione e di riflessione spirituale con persone che professano altre religioni?
– Qual è il tipo di presenza dei figli di immigrati nei nostri luoghi di formazione e di incontro?
– Creiamo occasioni di accoglienza e di interazione di famiglie italiane con famiglie immigrate?
– Sollecitiamo l’intervento delle istituzioni pubbliche in favore di una politica territoriale che investa sui servizi di Mediazione culturale e promuova l’Educazione interculturale?
Ricordiamoci che la missione è anche qui, con i “popoli tra noi” perché, come disse papa Giovanni Paolo II “nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessun uomo e in nessun luogo”.
Scopriremo allora che per noi cristiani le ragioni dell’ospitalità, dell’interazione e della cittadinanza non sono imposte dalle circostanze, ma hanno radici nell’identità della nostra fede. (a cura dell’Ufficio Migrantes – Crema)