Accoglienza e integrazione… le risate intelligenti

Torino – Dall’osservazione ‘da destra’ delle differenze etniche, dei matrimoni misti e, dunque, di un’identità nazionale messa pericolosamente in discussione dai nuovi/vecchi arrivati Oltralpe, allo sguardo ‘da sinistra’ sull’immigrazione dall’Europa orientale, sull’accoglienza delle comunità straniere e quindi, al di là di una sfiatata retorica ‘buonista’, sull’effettiva disponibilità della Francia all’integrazione.

“Benvenuti a casa mia”,  il nuovo film di Philippe de Chauveron, ribalta, sempre in forma di commedia, la prospettiva politica del suo precedente, fortunato lungometraggio “Non sposate le mie figlie” (oltre 12 milioni di spettatori in patria).

Sulla scia del titolo originale, “À bras ouverts”, “Benvenuti a casa mia” propone la storia di un intellettuale di sinistra, uno scrittore di successo sposato con una ricca ereditiera, che durante un dibattito televisivo del quale egli promuove il suo nuovo romanzo, intitolato appunto “A braccia aperte”, invita idealmente tutti i benestanti ad accogliere nelle proprie case i più bisognosi.

Quella stessa sera, dopo aver accettato (per non perdere la faccia) la sfida lanciata dal suo avversario in studio, ossia mettere in pratica ciò che aveva appena suggerito ai ricchi, una sgangherata famiglia rom bussa alla porta della sua lussuosa villa con piscina. “Benvenuti a casa mia”, che riporta sullo schermo Christian Clavier e Ary Abittan, già interpreti di “Non sposate le mie figlie”, si appoggia su un semplicismo narrativo e su un tratto caricaturale che rischiano a volte di banalizzare un tema complesso, delicato e divisivo, ma al registro comico non si può rimproverare chissà quale volontà sociologica.

Lungi dall’essere un pamphlet, eppure niente affatto estraneo al clima rovente dei nostri giorni, il film di de Chauveron tenta a suo modo una ‘sintesi’ complessiva delle griglie sociali contemporanee, ben distanziate le une dalle altre ma, come testimonia il maggiordomo indiano della

coppia borghese, tutte accomunate dagli stessi pregiudizi nel guardare a chi sta peggio.

Scivolando da una situazione buffa ad un’altra, “Benvenuti a casa mia” accumula volutamente tanti cliché, sia nei confronti della gauche benpensante, simboleggiata dall’homme engagé dalle camicie firmate e dalla sua vacua consorte, sia verso la rumorosa famiglia rom ospitata in giardino. Raffigurata, anche se affettuosamente, nella sua rozza ritualità folcloristica.

Il tema dell’immigrazione coniugato in forma di commedia trova una sponda cinematografica anche in Italia. “Contromano”, il film diretto e interpretato da Antonio Albanese (che torna alla regia dopo sedici anni), ha per protagonista un cinquantenne milanese preciso e abitudinario, che si sveglia tutte le mattine nello stesso modo, beve lo stesso caffè nello stesso bar, apre il suo negozio di calze senza mai tardare di un minuto. È questo, per lui, il bello della vita: le cose che non cambiano. Convinto che il segreto di una società civile risieda nel rispetto della disciplina, Mario accoglie con sgomento e irritazione la presenza davanti al suo negozio di un senegalese venditore ambulante di calzini. Così, deciso a “rimettere le cose a posto”, escogita un piano tanto semplice quanto folle: rapire il giovane di colore e riportarlo a casa sua…

Sul filo del paradosso, e con il sorriso sulle labbra, “Contromano” affronta dunque una questione di strettissima attualità, in una pellicola on the road che ovviamente vede complicarsi le situazioni con l’entrata in scena della presunta sorella del giovane africano. Dietro la sua corazza burbera, in realtà

il commerciante milanese nasconde un animo gentile. Così, attingendo ad un repertorio di sguardi, più che di parole, di immagini, più che di gag, nel suo film Albanese riversa non la tracotanza volgare di Cetto La Qualunque (specchio deformante di una certa Italia), bensì la malinconica sensibilità di un uomo solo, intristito dalle sue stesse, immutabili abitudini. Il ritratto, anche questo, di un Paese in cerca di se stesso e messo alla prova dalla mutazione genetica della società contemporanea. (Paolo Perrone – La Voce E il Tempo)