P. Nahra (past. migranti): “popolo ebraico sa cosa significa essere schiavo e essere liberato. Dia dignità a rifugiati”

Roma – “Spero che i leader politici israeliani non si facciano influenzare dalla pressione di una parte della popolazione israeliana contraria alla presenza di migranti nel Paese. Auspico che venga assunta una decisione umana, rispettosa della dignità umana e del diritto di queste persone degna della meravigliosa tradizione israeliana”. Così padre Rafic Nahra, coordinatore per la pastorale dei migranti che opera in seno al Patriarcato latino di Gerusalemme e vicario patriarcale per i cattolici di lingua ebraica del Vicariato di San Giacomo in Israele, commenta al Sir la vicenda del piano concordato, e poi annullato, da Israele con l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) che prevedeva il ricollocamento e la regolarizzazione di circa 40mila richiedenti asilo eritrei e sudanesi. “Il popolo ebraico – dichiara il sacerdote – sa cosa significa essere schiavo, essere liberato da Dio e diventare un popolo libero. Che si ricordi di questa esperienza e che la dignità che ha ricevuto, ora la dia anche ad altri. È capace di farlo. Spero che i suoi leader politici abbiano il giusto coraggio. Ho molto rispetto di questo popolo”.

“La notizia iniziale dell’accordo che prevedeva il ricollocamento di 16mila richiedenti asilo in altri Paesi che non fossero Ruanda e Uganda, dove non avrebbero goduto di nessuna protezione, e l’integrazione di altri 16mila in Israele ci aveva soddisfatto. Sarebbe stata un’ottima soluzione, umana e dignitosa”, aggiunge il sacerdote che sottolinea come “su 40mila persone solo 11 hanno ottenuto ad oggi lo status di rifugiato”. Da parte sua la Chiesa locale “cerca di fare quel che può per aiutare i migranti, in particolare le famiglie con figli. Ci prendiamo cura dei bambini mentre sono a lavoro. Offriamo anche il nostro punto di vista sui problemi che riguardano migranti, lavoratori stranieri, rifugiati ma purtroppo il nostro raggio di azione resta molto limitato. Ma non ci fermiamo e continuiamo ad assistere chi è nel bisogno così da essere davvero quella Chiesa madre dove tutti possono sentirsi a casa”.