Competenze e lavoro: la sfida del “patentino” per i richiedenti asilo

Roma – Un “patentino” di orientamento al lavoro che certifica le competenze professionali per rifugiati e richiedenti asilo. È il progetto Espar – acronimo di European Skills Passport for Refugees – ideato e promosso dal Cross, Centro di ricerca sull’orientamento e lo sviluppo socio-professionale dell’Università Cattolica.

Il progetto nasce dall’idea di rispondere ai diversi bisogni dei migranti che cercano di inserirsi nel mondo del lavoro del Paese che li accoglie. Uno strumento utile per rifugiati e richiedenti asilo poco qualificati ma anche per quelli più qualificati. “Soprattutto i più qualificati spesso credono di poter continuare a fare in Italia quello che facevano nel loro Paese – spiega Dino Boerchi, psicologo dell’Università Cattolica – come è il caso di medici, avvocati o autisti. Sono convinti cioè di poter utilizzare il titolo di studio già conseguito. Ma non è così. Spesso la laurea o il diploma non può essere convertito e le aspettative che hanno devono essere ridimensionate”.

Finanziato dal ministero dell’Interno con il Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione dell’Unione Europea, il progetto Espar è partito un anno e mezzo fa in tutta Italia e ha già formato 363 rifugiati. Dopo un percorso di 12 incontri hanno così potuto costruire il proprio portfolio di competenze. Uno strumento indispensabile per avvicinarsi al mondo del lavoro e dell’occupazione. Ma anche un passo in più verso l’integrazione. Si, perché Espar non è solo uno strumento professionale, ma aiuta ad avvicinarsi alla domanda e a proporre la propria offerta in modo mirato e favorisce una progettualità più realistica rispetto al nuovo contesto con il quale il rifugiato o il richiedente asilo è chiamato a confrontarsi.

“Questi primi 363 sono una sperimentazione – prosegue Boerchi – la speranza è che ora il progetto, che deve essere ancora affinato in alcuni suoi aspetti, possa essere esteso e utilizzato nei centri di accoglienza. Il percorso del ‘patentino’ (che nella sua versione definitiva si chiamerà “portfolio”) può essere intrapreso subito dopo l’arrivo in Italia, per occupare e aiutare i rifugiati a costruirsi un futuro nel mondo del lavoro”.

In questa prima sperimentazione, il tasso di frequenza ai corsi è stata quasi del 100%. “Un successo”, sottolinea lo psicologo. I rifugiati coinvolti avevano un’età compresa tra i 18 e i 30/35 anni. Il percorso, che prevede colloqui personali e lezioni di gruppo, può essere completato in un paio di mesi. Il progetto serve per testare i livelli di competenza, ma tra gli obiettivi futuri dei promotori non si escludono anche tirocini formativi. (D. Fassini – Avvenire)