Roma – Nell’immaginario collettivo quando “tutti noi ci approcciamo all’universo rom e sinto ci poniamo davanti alla punta dell’iceberg di ciò che nel nostro Paese incarna la diversità assoluta, irriducibile e totalizzante. I rom e sinti sono da secoli percepiti come ciò che di più lontano può esistere per la nostra lingua, la nostra cultura, le nostre tradizioni”. A dirlo questa mattina il presidente dell’associazione “21 luglio”, Carlo Stasolla, intervenuto alla Consulta Nazionale delle Migrazioni della Fondazione Migrantes, in corso a Roma. Alcuni studi accademici – ha detto Stasolla – hanno dimostrato come “l’avversione verso rom e sinti, in Italia, raggiunga i picchi più alti e come ataviche paure, frutto di pregiudizi e stereotipi, siano radicate nella nostra memoria collettiva”. Senza “scendere” nell’approfondimento di realtà individuali – varie le etnie rom, sint e caminanti – “si preferisce classificare tutti, indistintamente come ‘rom’ o ‘sinti’, intesi come parti di un indissolubile corpus culturale più o meno omogeneo di persone che incarna pienamente e totalmente la diversità. Tocchiamo con mano quello che chiamo il peccato originale dell’antigitanismo. Esso attecchisce nel momento in cui, enfatizzando l’alterità etnica – consideriamo il rom o il sinto irriducibilmente diverso da noi. E’ un veleno questo che, quando scorre nelle nostre menti, intossica i nostri pensieri e condiziona pesantemente, al di là dei buoni propositi, il nostro operato pastorale”. Per Stasolla per “superare la diversità e costruire una Chiesa delle genti fondata sull’unità dovremmo esattamente smettere di leggere la realtà dei rom dei sinti con la lente culturalista. Si tratta di una lettura errata, che crea distanze”.