Milano – Per costruire cittadinanza e integrazione, ci sono due muri da abbattere e un alleato prezioso. Parola di Xu Qiu Lin, in arte Giulini, il primo imprenditore cinese ad aderire a Confindustria. “Tre dei miei figli sono nati a Prato” spiega Giulini, da meno di un mese neopresidente dell’Associazione per l’amicizia dei cinesi nella città toscana. “La scuola è fondamentale per i rapporti tra italiani e cinesi. Le ragazze e i ragazzi delle seconde generazioni saranno i protagonisti di una nuova comunità. Certo, ci vuole tempo e pazienza. Ma tutti abbiamo grande speranza” spiega.
Il cammino che porta a un reciproco riconoscimento tra italiani e stranieri, tra cittadini autoctoni e immigrati è ancora lungo e lavorare a una pacificazione è un compito che resta arduo. Tredici anni sono passati dall’iscrizione di Giulini all’associazione degli industriali e solo un altro suo connazionale, negli anni successivi, ha seguito la sua strada. Segno di una convivenza che resta difficile, sul territorio come sui mercati, anche se non va sottovalutato il risultato conseguito dall’associazione che lo stesso Giulini presiede, con mille associati, di cui cento imprenditori. La storia del titolare della Giupel, azienda che produce confezioni da donna (piumini, abiti e soprabiti) di gamma medio alta e fattura 7,5 milioni, è ancor più emblematica oggi, che il tema della cittadinanza è di grande attualità. Perché dà un contributo di chiarezza al dibattito, senza finzioni retoriche. Per spiegare cosa ha in mente quando parla di graduale inserimento della comunità asiatica nel nostro Paese, Xu Qiu Lin fa due esempi. Dice innanzitutto che inserire nelle nostre città i figli degli stranieri è un’urgenza, perché “capita ancora che ci siano bambini che per vari motivi vengono iscritti in ritardo a scuola – dice Giulini –. La lingua? Rappresenta ancora molto spesso un muro, specialmente per gli adulti, mentre i ragazzi sono mediatori importanti”. L’altra barriera da eliminare, oltre al fattore linguistico, è la casa. “Il problema della casa è ancora al primo posto, chi lavora e le famiglie devono avere un posto dove abitare che non sia il luogo di lavoro. Stiamo avviando un confronto con il Comune di Prato, che ha molta attenzione. Un’idea c’è: nel nostro territorio ci sono molte abitazioni non utilizzate, cantieri da completare o immobili invenduti per effetto della crisi economica. Vogliamo provare a fare un progetto per fare in modo di utilizzare queste case, che potrebbero essere acquistate dai cinesi”.
Il resto è integrazione, non solo sociale, ma economica e i rappresentanti di Chinatown, in Toscana come in tutto il Paese, sanno benissimo che tutto questo può passare soltanto dal rispetto delle regole e dalla legalità. “Dopo i morti di Teresa Moda le cose sono cambiate” dice Giulini ricordando la tragedia del Macrolotto in cui persero la vita, quasi quattro anni fa, sette suoi connazionali: il percorso di uscita dal sommerso, l’addio graduale (e troppo lento) alle fabbriche-dormitorio, i primi segnali sulla formazione. Ma non basta. Ci sono ancora “problemi su cui l’associazione può essere d’aiuto. Penso alla sicurezza del lavoro, allo smaltimento dei rifiuti, al grosso problema degli scarti tessili. Certo, bisogna comportarsi in modo corretto. Ma anche la comprensione della lingua e la conoscenza delle regole sono un problema. Possiamo lavorare perché i cinesi capiscano come ci si deve comportare, perché cambino alcune abitudini sbagliate. Non è facile, ma vogliamo provarci”. (D. Motta – Avvenire)