Card. Bassetti: la Chiesa cattolica si è sempre occupata dell’ospitalità del forestiero e del migrante

Roma – “Bisogna subito sgombrare il campo da un equivoco che potrebbe sorgere da un dibattito pubblico particolarmente aspro su questi temi: la Chiesa cattolica si è sempre occupata dell’ospitalità del forestiero e del migrante. E lo ha fatto non certo per un’idea politica o sociale, ma per amore di ogni persona. È il cuore della nostra fede: di un Dio che si è fatto uomo”. A dirlo il card. Gualtiero Bassetti nella sua prima prolusione al Consiglio Permanente della CEI apertosi oggi pomeriggio. Per il porporato  l’ospitalità è, da tradizione, “un’opera di misericordia e, come ci insegna Abramo, una delle più alte forme di carità e di testimonianza della fede”. Il presidente della CEI, dopo aver ricordato i quattro verbi (Accogliere, proteggere, promuovere e integrare) che Papa Francesco ha donato alla Chiesa “per affrontare la grande sfida delle migrazioni internazionali” ha detto che attraverso l’ospite “noi scegliamo di accogliere o respingere Cristo nella nostra vita”. Il richiamo alla difesa della dignità inviolabile del migrante è un “insegnamento presente in molti documenti della Santa Sede e che si è fatto carne” nell’opera di alcuni grandi apostoli del passato, tra i quali molti italiani: sr. Francesca Cabrini, Mons. Geremia Bonomelli, Mons. Giovanni Battista Scalabrini. Oggi questa “sfida antica” si ripropone con “tratti nuovi”. E lo sguardo “profetico” di Papa Francesco – ha detto il card. Bassetti – ha “il merito storico di aver tolto i migranti da quella cappa di omertà in cui erano stati confinati dalla ‘globalizzazione dell’indifferenza’ e di averli messi al centro della nostra attività pastorale. Promuovere una pastorale per i migranti significa – ha spiegato –  prima di tutto, difendere la cultura della vita in almeno tre modi: denunciando la ‘tratta’ degli esseri umani e ogni tipo di traffico sulla pelle dei migranti; salvando le vite umane nel deserto, nei campi e nel mare; deplorando i luoghi indecenti dove troppo spesso vengono ammassate queste persone. I corridoi umanitari – nei quali la Chiesa italiana è impegnata in prima persona – sono, quindi, necessari per dare vita ad una carità concreta che rimane nella legalità”. Il “primato dell’apertura del cuore al migrante – ha aggiunto il presidente della CEI –  ci fa guardare oltre le frontiere italiane. Ci invita a intensificare la cooperazione e l’aiuto allo sviluppo al Sud del mondo, per far risorgere tra i giovani la speranza di un futuro degno nella propria patria”. Una linea su cui si muove da tempo la Chiesa Italiana sostenendo numerosi progetti di sviluppo e, recentemente, con la campagna Liberi di partire, liberi di restare. Si tratta – ha detto il presidente dei vescovi – di “un progetto innovativo perché affronta il tema del diritto delle persone a restare nel proprio Paese senza essere costrette a scappare a causa della guerra o della fame”. “Accogliere è un primo gesto, ma c’è una responsabilità ulteriore, prolungata nel tempo, con cui misurarsi con prudenza, intelligenza e realismo”. Il card. Bassetti ha ricordato che Papa Francesco, di ritorno dal suo recente viaggio in Colombia, ha detto che per affrontare la questione migratoria occorre anche “prudenza, integrazione e vicinanza umanitaria”. Tale processo – secondo il porporato – va affrontato “con grande carità e con altrettanta grande responsabilità salvaguardando i diritti di chi arriva e i diritti di chi accoglie e porge la mano”. Il processo di integrazione richiede, “innanzitutto, di fronteggiare, da un punto di vista pastorale e culturale”, la diffusione di una “cultura della paura” e “il riemergere drammatico della xenofobia. Come pastori non possiamo non essere vicini alle paure delle famiglie e del popolo. Tuttavia, enfatizzare e alimentare queste paure, non solo non è in alcun modo un comportamento cristiano, ma potrebbe essere la causa di una fratricida guerra tra i poveri nelle nostre periferie. Un’eventualità che va scongiurata in ogni modo”. Per il presidente della CEI “la costruzione di questo processo di integrazione” passa “anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza, che favorisca la promozione della persona umana e la partecipazione alla vita pubblica di quegli uomini e donne che sono nati in Italia, che parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica, con i valori che porta con sé”. (R.I.)