Palermo – Non un barcone e via. Il minore straniero che approda in Italia ha alle spalle un viaggio durato in media un anno e due mesi, fatto di lavori in ogni paese che ha attraversato, di arresti, rapimenti un Libia e pagamento d riscatto. Tra i ragazzini che lasciano i Paesi dell’Africa e del Medioriente da soli uno su tre scappa da violenze domestiche, il 70% da violenze di qualsiasi tipo, la metà ha trascorso un’infanzia avendo un accesso limitato ai mezzi di sostentamento. La maggior parte di loro, accolti in Sicilia, racconta di aver lavorato durante il viaggio. Un giovane gambiano, arrivato in Sicilia dopo aver trascorso un anno e sei mesi in viaggio, racconta di aver attraversato Senegal, Mauritania e Algeria, lavorando sempre, per guadagnare i soldi necessari per la traversata. Ma non voleva neppure arrivare in Europa, gli sarebbe bastato trovare un lavoro dignitoso e un po’ di libertà in uno Stato nordafricano. Più della metà dei ragazzi che approdano in Italia non avevano infatti questo come obiettivo iniziale. Lo dimostrano anche le tabelle dei flussi di migrazione interna agli stessi paesi africani, elaborate dalla Ong svizzera Reach Initiative, che ha realizzato con Unicef uno studio su ‘Minori in transito in Italia e in Grecia’, condotto in Sicilia, intervistando 720 minori stranieri non accompagnati tra i 15 e i 17 anni in 72 centri di accoglienza. Un nigeriano ha dovuto affidare la sua vita al ‘datore di lavoro’. «Ho parlato col capo per andarmene dalla Libia – racconta – lui mi ha detto che dovevo prendere il barcone, mi ha detto di non preoccuparmi, avrebbe pensato lui a tutto. Da quel momento per ogni giorno di lavoro mi dava solo cinque dinari, il resto (quindici dinari) lo metteva da parte per pagare il barcone». E poi c’è l’incubo del carcere. Un ragazzo gambiano dice «di essere stato arrestato tre volte senza un motivo e di aver dovuto pagare la cauzione per tre volte». (Alessandra Turrisi)