Roma – Il Codice di condotta per le Ong che salvano i migranti in mare rischia di trasformarsi in un pasticcio giuridico internazionale. Non hanno dubbi gli esperti dell’Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione. Più che mettere ordine nel Mediterraneo, sostengono avvocati e giuristi, rischia di creare confusione e di suscitare contenziosi con altri Paesi. Il problema di fondo del Codice di condotta sta nel fatto che è «un tentativo da parte dell’Italia di regolare la condotta di navi, ivi incluse navi battenti bandiera di uno Stato terzo, oltre i limiti delle acque su cui l’Italia esercita competenze in virtù del diritto internazionale».
È come se l’Italia decidesse di regolare il traffico automobilistico in Francia. «Un certo numero di disposizioni contenute nel Codice di condotta – scrive l’Asgi – hanno il chiaro obiettivo di disciplinare la condotta di navi battenti bandiera di stati terzi all’interno delle acque territoriali libiche o in alto mare. È evidente che l’Italia non ha giurisdizione su tali porzioni di mare ed è altrettanto chiaro che ogni tentativo di esercitare tale giurisdizione costituirebbe un comportamento in contrasto con i principi basilari del diritto internazionale del mare, quale codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982». Dunque l’Italia non può imporre a navi di altri Paesi il Codice di condotta. Non solo. Nel caso le navi di ong straniere non accettino di sottoscrivere il codice, non potrà con tanta facilità impedire loro di attraccare nei nostri porti.