Roma – Conoscere la realtà, salvare vite umane, cooperazione con i paesi di partenza, vie legali di ingresso in Europa e politiche di integrazione. Queste le proposte avanzate ieri sera dalle associazioni che hanno promosso, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere (tra queste la Fondazione Migrantes, Caritas Italiana, Comunità di Sant’Egidio, Centro Astalli, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Acli, Scalabriniani) una veglia di preghiera per i migranti morti in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa. “Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nel 2017 gli arrivi di migranti attraverso il Mediterraneo sono diminuiti. Sono invece in aumento i morti in mare, a motivo di viaggi sempre più pericolosi”, dicono le associazioni. Dal 1° gennaio 2017 ad oggi sono giunte in Europa 82.897 persone, mentre nei primi sei mesi del 2016 avevano raggiunto il nostro continente 231.133 migranti. Gli arrivi sono “più che dimezzati, indubbiamente per la chiusura della cosiddetta rotta balcanica, in seguito all’accordo UE-Turchia. Il dato più preoccupante è la crescita, in percentuale, del numero di vittime dei viaggi verso l’Europa: se nei primi sei mesi del 2016 erano morte circa 3.000 persone, da gennaio 2017 ad oggi hanno già perso la vita 1.990 migranti. Nel 2016 la percentuale di mortalità era di 1 su 42. Nel 2017 la proporzione, già di per sé drammatica, è ulteriormente salita: quest’anno su 35 migranti che sono arrivati in Europa, ce n’è uno che ha perso la vita”. Le organizzazioni evidenziano l’importanza del “salvataggio” in mare che fa parte di un codice umanitario condiviso a livello universale. “Quando riguarda migliaia di essere umani diventa una priorità per la nazioni interessate. Nel momento dell’emergenza l’unica risposta seria e civile non può che essere questo”. Inoltre è necessario “connettere in maniera strutturale il tema delle migrazioni con la cooperazione internazionale. L’offerta di aiuti ai paesi di provenienza dei flussi migratori deve contribuire in modo più consistente, pensando alla crescita e allo sviluppo del Sud del mondo, senza finalizzarla, in modo strumentale, solo al contenimento dell’emigrazione. Il controllo delle frontiere, per quanto più accurato e rigido, a lungo andare non porterà a una diminuzione del numero dei migranti, perché non incide sulle cause che ne sono all’origine”. Le organizzazioni chiedono ancora vie legali di ingresso in Europa, un continente che “sta vivendo una forte crisi demografica, con l’Italia che anche quest’anno ha registrato un saldo negativo tra morti e nascite, nonostante la presenza di nuovi immigrati”. Bisogna – sottolineano – in primo luogo, incrementare i canali di ingresso regolare per ricerca di lavoro (data anche la forte domanda esistente in alcuni settori, soprattutto quella dei servizi alle persone), anche reintroducendo il meccanismo della sponsorship, e agevolare i ricongiungimenti familiari. In secondo luogo, per affrontare le guerre e le crisi umanitarie, che causano un gran numero di profughi, “oltre ad aprire nuovi corridoi umanitari, è urgente un programma serio di resettlement e relocation, che superi la logica dell’accordo di Dublino”. E ancora serie politiche di integrazione: “oltre all’accoglienza di chi fugge dalla guerra, comunque doverosa, va garantita l’integrazione di chi è accolto, puntando sull’apprendimento della lingua italiana e sull’inserimento in efficaci percorsi di formazione lavorativa. Gli stati europei dovrebbero impegnarsi in investimenti appropriati per favorire questo processo”. (Raffaele Iaria)