Roma – Pubblichiamo la traccia dell’intervento di Delfina Licata dell’Area Ricerca e Documentazione della Fondazione Migrantes alla presentazione della XXVI edizione del Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes presentato questa mattina a Roma (
https://prezi.com/p/xhqavavf_qng/):
La presentazione del XXVI Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes capita in un momento storico importante e particolarmente significativo caratterizzato da un lato dal dibattito forte e particolarmente sentito sulla modifica della legge sulla cittadinanza legata allo ius culturae e dall’altro dalla giornata mondiale dei rifugiati.
Detto in altri termini non è importante il quanto ma il chi perché la presenza ha cambiato le sue caratteristiche ma è anche vero che, a seguito di una serie di elementi sociali, culturali, economici, nazionali, europei e internazionali, è la stessa Italia ad essere cambiata anche grazie a chi ha scelto di fermarsi sul nostro territorio e anche a seguito delle nuove partenze degli italiani.
E allora lo scorso anno lo studio ci ha portato a dare voce a quei luoghi in cui l’incontro avviene, cosa non scontata, ma che ha stupito noi per primi. Abbiamo trovato e descritto tante e diverse occasioni in cui prende vita quella che abbiamo definito la “cultura dell’incontro” e portando avanti quel ragionamento ci siamo accorti che ogniqualvolta l’incontro avviene ci troviamo di fronte, nella stragrande maggioranza dei casi, un giovane. L’immigrazione ha il volto giovane.
Quest’anno, quindi, l’attenzione, in modo naturale, si è rivolta alle “nuove generazioni”, universo semantico ampio e complesso in quanto comprende giovani e giovani adulti, nati in Italia o no, con o senza cittadinanza italiana, occupati o non occupati, che studiano o meno, un “mondo nuovo” da cui deve essere prodotto il nuovo, la nuova Italia, un nuovo presente da cui ripartire e far ripartire il nostro Paese.
Nuove generazioni a confronto
L’Italia di oggi e di domani o riuscirà ad essere diversa, capace di nuovi incontri e relazioni, o rischierà di non avere futuro. L’incontro è la parola chiave che deve guidare le nostre comunità.
Un incontro da cui deve originarsi non la tolleranza, non l’ospitalità, ma un dialogo tra pari che permetta la convivenza tra pari, l’
E queste “nuove famiglie” di “ nuovi italiani” sono linfa vitale per un Paese che ha seri problemi, allarmanti fragilità dovute a sbilanci demografici che vanno corretti con urgenza, ma siamo ancora purtroppo fermi al riconoscimento di tali fragilità.
Lo diciamo nel volume: il divario negativo crescente tra nascite e decessi, la progressiva riduzione del numero delle potenziali madri, l’aumento della longevità e l’inesorabile invecchiamento della popolazione.
Anche all’interno della presenza immigrata stiamo assistendo a una progressiva riduzione della capacità compensativa degli squilibri tipicamente italiani: arrivi sempre più contenuti, crescita interna dovuta alle nascite e ai ricongiungimenti, ma le stesse nascite tra gli stranieri sono oggi molto più contenute (69 mila, erano 72 nel 2015, ma 80 mila nel 2012) per cui il calo demografico generale (-86 mila unità) non riesce più ad essere compensato dalla sola componente straniera.
Andare oltre il numero significa riconoscere un’altra Italia, quella che non traspare immediatamente … i volti
Una presenza che è sempre più femminile, delocalizzata sul territorio anche se alcune regioni sono strutturalmente più attrattive di altre.
Emerge da fonti non statistiche, ma più qualitative (ricordo che il volume deriva da esperienze e lavori sui territori diocesani) un’attrazione dovuta a cause diverse. Non è più soltanto il lavoro a trattenere, ma in alcune regioni del Sud emergono sempre più fattori altri, quali la maggiore capacità di sentirsi parte di un territorio, una ospitalità più sentita, una condivisione più effettiva.
E vi sono comunità etniche più numerose di altre per una serie di elementi (storici, economici, di prossimità geografica, linguistica e culturale) più volte richiamati.
Ma l’Italia di oggi è anche una presenza di normalità costante… abbiamo voluto porre in risalto 4 elementi.
La scuola, l’università e quindi la formazione all’adultità che poi porta a una partecipazione sentita e quindi la cittadinanza, tema caldo di questi giorni, e alla costituzione di nuovi nuclei familiari in questo Paese
Perché si viene in Italia. Non siamo ancora abituati a “parlare” di presenza di origine non italiana, parliamo ancora di immigrazione come fenomeno legato alla straordinarietà e la realtà ci sorprende perché dopo 40 anni di storia di immigrazione in Italia, oggi la questione ha cambiato pelle diventando richiesta di protezione e asilo. Su oltre 3,9 permessi di soggiorni rilasciati la motivazione del lavoro e i motivi familiari, al terzo posto troviamo la richiesta di asilo che ha superato lo studio.
In Italia manca un decreto flussi per lavoro da diversi anni. Gli occupati stranieri sono 2,4 milioni.
Il lavoro è un tema portante, lo è sempre stato sia per descrivere il contributo che viene dato all’Italia in termini di mera ricchezza prodotta, facilmente riconoscibile anche dagli stessi dati (oltre 350 mila imprese di cittadini non–UE, forte presenza degli stranieri nel settore industriale e in quello dei servizi alla persona, nelle imprese di pulizia, nell’edilizia, ecc.).
Più scarsa è l’attenzione e il risalto al tema lavoro quale luogo in cui avviene l’incontro felice o meno ritornando al tema di partenza. Noi le abbiamo chiamate “pietre di inciampo”. È dove la presenza straniera fa corto circuito, dove si presentano dei problemi.
Nel lavoro queste pietre sono: la segregazione occupazionale, la dequalificazione e la retribuzione differente tra italiani e stranieri.
Un’altra pietra di inciampo è l’accesso all’università provenendo da un liceo (il 34% dei non-UE, il 43% dei UE e il 73,8% degli italiani provenienti dai licei verso l’università).
Collegato a questo, l’abbandono scolastico
E poi la questione giustizia. Quelle stesse comunità che sono le più numerose e che sono presenti sul nostro territorio da più tempo sono quelle che delinquono di più e tale caratteristica la riscontriamo anche tra i minori che delinquono. È questo un luogo nel quale agire, un segnale sul quale porre attenzione e cercare di operare.
Ma ci sono elementi positivi di una Italia che non ti aspetti, di una Italia da riconoscere nelle sue positività. Abbiamo voluto individuare 3 di questi aspetti.
Dal 2014 (610) al 2016 (3.247) +532% delle domande presentate da stranieri aventi requisiti per partecipare al Servizio Civile (soprattutto nei settori ambiente e protezione civile; assistenza; educazione-istruzione) quindi legati fortemente e strettamente alle realtà territoriali.
Il tasso di overeducation ovvero l’impego in occupazioni di livello inferiore rispetto alla preparazione e formazione.
Il vicino di casa. Uso dell’innovazione per generare socialità di prossimità inclusiva e gratuita. Social Street del quartiere Sarpi a Milano come caso concreto di cittadinanza attiva, interetnica e interculturale (bookcrossing, social-pulizia)
Se siamo chiamati a un compito in quanto persone è quello di impegnarci sempre a essere migliori domani rispetto a ciò che siamo oggi.
Aderire a una campagna come L’Italia sono anche io non solo come gesto di civiltà, ma perché crediamo in un futuro diverso, dove nessuno deve essere escluso per il semplice motivo che ne è già parte integrante, protagonista di diritto, cittadino senza cittadinanza appunto.
Purtroppo questo non sta avvenendo per quanto riguarda la legge sulla cittadinanza, da troppo tempo attesa, messa in discussione, uno ius culturae di cui troppo pochi parlano correttamente sottolineando lo ius soli e sbagliando perché non c’è nessun automatismo.
È consuetudine terminare per carpire l’attenzione di chi ascolta con una frase ad effetto presa da grandi personaggi della storia o dell’attualità. Io voglio soffermarmi su un piccolo grande personaggio:
Basim 9 anni nato a Roma da genitori marocchini che, intervistato da Giulia Santerini, alla domanda “Lo sai che lo Stato italiano non vi riconosce come italiani?” risponde per me “io sono cittadino italiano. Non importa la cittadinanza. Io sono italiano, voglio solo che lo capite”.
In altri termini, la cittadinanza è una invenzione dell’uomo, ciò che conta è ciò che siamo, ciò che sentiamo di essere, ciò che riconosciamo di essere prima noi stessi e poi agli altri.
I bambini in questo sono degli insegnanti importanti per noi adulti perché riescono a vedere il mondo con occhi disincantati. Vi racconto un episodio personale. Ho una nipote di 8 anni che vive a oltre 600 chilometri da Roma la sento ogni giorno e mi racconta della sua vita, delle sue giornate a scuola e, da settembre scorso, ha iniziato a raccontarmi della sua nuova compagna di scuola, quella che è diventata la sua migliore amica, la compagna di giochi insostituibile, Sofia. Un weekend sono andata a prenderla da scuola all’uscita pomeridiana e l’accordo era di andare a mangiare un gelato in tre con la famosa Sofia così me la faceva conoscere. All’uscita mia nipote è corsa da me, ma io non sapevo chi fosse Sofia e gliel’ho chiesto e mia nipote mi ha risposto “Eccola!!! ha la maglia rosa!” Io ne vedevo almeno 5 di maglie rosa. Una insegnante avvisata da mia sorella che sarei andata io a prenderle mi si avvicina e mi dice: forse non le avevano detto che Sofia è una bimba di colore? Nel frattempo Sofia si era avvicinata e risponde alla maestra: Io non sono di colore! Miriam (cioè mia nipote) sì. Guardatela è tutta rossa!
Questa storia ci dice proprio quanto i bambini non abbiano costrutti mentali, preconcetti finchè noi adulti non li trasmettiamo anche a loro e quanta responsabilità abbiamo su questo! Per Miriam, Sofia ha la maglia rosa non la pelle scura. Per Sofia, Miriam ha la pelle bianca, talmente bianca che diventa subito rossa!
Se imparassimo dai bambini, saremmo probabilmente davvero persone migliori!