Mons. Di Tora: il “rischio di diventare un Paese chiuso”

Roma – «La rissa in aula, al Senato, durante la discussione dello Ius Soli è una delle pagini più tristi per la nostra legislatura». Monsignor Guerino Di Tora presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione episcopale Cei per le migrazioni, commenta così il giorno dopo gli insulti, i cartelloni da stadio e gli spintoni passati in ‘mondovisione’ dall’aula del Senato contro la legge sulla cittadinanza di ‘italiani stranieri’.

Perché si arriva a tanto, secondo lei?

Si possono avere idee diverse. Ma il Parlamento è fatto per discutere, dialogare e vedere punti di differenze. Quando si arriva alle mani c’è qualcosa che non funziona. E in più, se si arriva a questo su un tema del genere, di grande importanza come è per la cittadinanza dei nostri giovani italiani figli di stranieri, fa pensare che ci siano altri motivi dietro.

A quali motivi allude?

Stiamo andando verso il ballottaggio e una certa politica parla alla pancia del popolo indicando questa legge come colpevole di tutte le malattie ma anche negando in questo modo una realtà di fatto: che è quella che le migrazioni non sono un fatto momentaneo ma epocale e che nessuno può fermare. La legge in discussione al Senato che integra quella attualmente vigente ammette nuovi casi di cittadinanza che riguardano figli di genitori stranieri che nascono in Italia o che vi sono arrivati in età giovanissima e hanno completato il ciclo di studi. Non stiamo parlando di persone che arrivano da chissà dove. Ma di giovani di seconda, terza e anche quarta generazione che vivono già qui. Che conoscono la nostra lingua, il nostro Paese, le nostre abitudini.

Quindi, l’opposizione e la protesta di una certa politica non ha fondamento nella realtà, è solo ideologica?

Sembra sproporzionato negare a priori a persone che già sono in Italia ma che soprattutto condividono con i propri coetanei questa bellezza di trovarsi insieme e la gioia di condividere, negare una identità di uguaglianza e di omogeneità con gli altri. È solo ideologico e non dobbiamo dimenticare che la nuova cittadinanza sarebbe un plus valore per questi ragazzi che si stanno integrando e che hanno voluto prendere le caratteristiche dell’Italia, dove non si creano ghetti o banlieu come avviene invece in altri Paesi. Senza dimenticare che il popolo italiano è sempre stato un popolo di immigrati. Dal sud verso il nord, per andare a lavorare alla Fiat o alla Pirelli.

Chi ci perde con l’approvazione dello

Ius soli?

Nessuno ci perde, c’è solo da guadagnare. C’è da guadagnare non da perdere di gente che non si sente emarginata e si toglie il pericolo e la tentazione di realtà contrarie. Non credo che con la nuova legge ci sia una realtà di perdita.

I nostri giovani se ne vanno e noi non diamo la cittadinanza ai giovani che vogliono invece rimanere in Italia, non è contraddittorio?

L’Italia in questo momento non è solo un Paese di immigrazione ma sta diventando anche un Paese di emigrazione. Dal 2005 al 2015 4milioni e 800mila italiani sono emigrati all’estero. Il 44% di chi ha lasciato lo ha fatto per motivi di studio ma il restante – più del 50% – sono intere famiglie che emigrano. Con Migrantes, li abbiamo incontrati in Argentina e in Australia. L’Italia ha bisogno di forze nuove e col calo di natalità da una parte e il rifiuto alle nuove cittadinanze, rischia di diventare un Paese chiuso. Lo Ius soli va a compensare questa nuova situazione, molti giovani parlano la nostra lingua, frequentano i nostri oratori, si sentono inseriti nei quartieri. Alcuni si esprimono con un romanaccio che mi sembra il mio quando ero bambino al Prenestino! (Daniela Fassini – Avvenire)