P. Bentoglio: dispiace “l’ombra”gettata sulle Ong che fanno un grande lavoro

Brescia – “Mi dispiace questa ombra gettata sulle Ong. Chi ha lavorato nell’attività di soccorso sta svolgendo una grande opera e ha salvato tante vite. Dobbiamo agire con prudenza”. A dirlo, in una lunga intervista al settimanale “la Voce del Popolo”, è il neo direttore Migrantes della diocesi di Brescia, p. Gabriele Bentoglio, missionario scalabriniano con una lunga esperienza nel Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti dove ha ricoperto la carica di sottosegretario. Per il religioso il compito dell’approfondimento “spetta alla magistratura. Per esperienza personale, posso dire che moltissime Ong lavorano veramente bene. Fino ad oggi sono state fatte grandi cose con un servizio encomiabile che ha permesso di salvare molte vite e può continuare a salvarne molte altre e a offrire un futuro migliore rispetto a quello che avevano nel territorio di origine. Sono addolorato di fronte ad accuse tese a recuperare qualche voto politico o ad alimentare una forma di populismo”.

P. Bentoglio sostituisce p. Mario Toffari. A Brescia, dal alcune settimane, oltre a seguire l’attività del Centro Migranti (dal servizio di ascolto all’assistenza nella regolarizzazione delle pratiche o della sopravvivenza stessa), accompagna la comunità dei filippini che si raduna ogni domenica nella chiesa di San Faustino, la comunità latino-americana e la comunità nigeriana che si ritrovano in diverse zone della Diocesi per una celebrazione liturgica o per un momento di festa. “Il problema dell’immigrazione non è tanto l’arrivo su un territorio – dice p. Bentoglio –  che ha le sue difficoltà (la lingua, i costumi e le tradizioni diverse), ma il problema grosso è dato dall’integrazione: bisogna conoscere bene la storia, la struttura e la radice culturale. Il nostro lavoro missionario deve aiutare le persone perché abbiano la possibilità di integrarsi con uno scambio che sia proficuo, cioè che non metta sullo stesso piano il migrante e la questione della sicurezza e della delinquenza. Ne abbiamo esperienza anche con l’immigrazione storica italiana di fine Ottocento e inizio Novecento: i flussi di italiani all’estero hanno vissuto la realtà catapultata oggi in Italia da questi flussi (non massicci come l’opinione pubblica vuole farci credere) di una certa importanza. C’è bisogno di accogliere, perché scappano da realtà difficili, se non addirittura di guerra e di persecuzione. Lo dobbiamo alla grande tradizione cristiana e alla memoria storica delle nostre emigrazioni. Ma c’è soprattutto un discorso relativo allo scambio di valori, perché ogni persona ha una sua dignità e ha dei valori da comunicare. Saperli scoprire – aggiunge – permette di creare un mondo diverso, dove la cultura e il vivere insieme permettono la creazione di un mondo molto più ricco e variegato che non è quello a cui siamo stati abituati. Il mondo è più piccolo. La facilità degli spostamenti rende le persone molto più vicine. Tocca a noi fare in modo che questa vicinanza tra le persone crei un mondo diverso altrimenti corriamo il rischio di vivere in un mondo in conflitto dove la sicurezza prende il primo posto, la paura e il sospetto impediscono l’incontro e creano, come paventato da Bauman, lo scontro tra civiltà”. Il direttore Migrantes parla anche della formazione all’interno delle comunità sottolineando la  “formazione è uno degli aspetti fondamentali. La paura è un aspetto normale. Si pensi all’incontro con una persona che non capisco perché parla una lingua diversa o ha un modo diverso di vestirsi e di prendere il cibo… Tutto questo può creare una barriera e a volte anche dei muri quando vediamo nell’altro solo una persona che crea sospetto, cioè che viene a infrangere il normale percorso della nostra vita. Affrontato con realismo il problema del sospetto, la comunità cristiana, in particolare gli operatori pastorali, deve rendersi conto di quanto le persone con la loro diversità possono essere un arricchimento: questo si fa con la formazione”. Oggi occorre rendersi conto di quanto “le persone proprio per la loro diversità linguistica e culturale possano essere un arricchimento. Questo si fa con la formazione, con l’incontro tra le persone, un incontro facilitato da momenti quotidiani (la festa, il condividere il cibo…). Queste occasioni aiutano a fare in modo che la paura e il sospetto diminuiscano e lascino il posto alla valutazione di quanto c’è di positivo e di bello nell’altro. È un cammino difficile, che non è immediato e richiede una maturazione. A noi cristiani offre la possibilità di approfondire quello che un tempo ci veniva dato dal catechismo e oggi abbiamo dimenticato”. Quando parliamo di rifugiato “pensiamo – è l’invito del religioso – alle storie tragiche che hanno alle loro spalle. Quando arrivano, se trovano una mano tesa capace di vincere l’indifferenza è già un primo passo verso l’accoglienza. So bene che ci sono delle difficoltà (lavoro, economia, welfare) che si vincono insieme sapendo quanto è importante partire dalla dignità umana e dalla solidarietà: sono valori che il cristianesimo da secoli instilla nelle sue radici europee e in tutto il mondo. Anche con le altre religioni possiamo condividere lo sforzo di incontro nella carità reciproca, nel soccorrerci l’un l’altro, nel tendere la mano a chi ha più bisogno di un aiuto”. Intanto Brescia si prepara a festeggiare – domenica 14 maggio, la festa dei Popoli, un momento di incontro e di festa: questa giornata non risolverà i problemi dell’immigrazione, non risolverà i problemi dell’irregolarità e di norme non sempre chiare e percorribili, ma sarà un aiuto anche per la nostra comunità politica ad avere uno sguardo positivo su una realtà che può essere arricchente per tutti quando riusciamo a incontrarci in un modo semplice e festoso. Ci si accoglie per i reciproci valori”.