Tra i nomadi o in carcere, le storie di chi costruisce comunione

Roma – Carla ha scelto di stare accanto ai sinti e ai rom «nei ghetti, nei luoghi dei non diritti» in Italia. Padre Varghese sostiene le battaglie per i diritti umani in India. Padre Andres si dedica ai carcerati colombiani. Chin-Lon offre assistenza medica a Taiwan. Padre Bernard si prende cura delle vittime della guerra in Centrafrica. Donatella e Andrea hanno scelto di farsi prossimi alle famiglie disagiate che vivono nel nostro Paese. A prescindere dalla fede professata, dalla lingua parlata o dall’angolo di mondo in cui si trovano ad operare, a legare le loro storie è la consapevolezza che lo sviluppo umano integrale passa attraverso la vicinanza, le fatiche quotidiane, l’incontro autentico con l’altro. Non è un caso che nella seconda giornata della Conferenza internazionale organizzata dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale per i 50 anni della ‘ Popolorum Progressio’ (che ha visto ieri l’intervento di Papa Francesco) a salire in cattedra siano i testimoni, persone cioè che lavorano per tessere la solidarietà, favorire l’integrazione e promuovere la dignità di tutti gli uomini, specialmente degli esclusi e degli ultimi. «In loro vedo il volto di Cristo », dice senza esitazione Carla Osella, Presidente dell’Associazione Italiana Zingari Oggi, impegnata a vari livelli, da quello locale a quello internazionale, per appoggiare «un popolo da sempre emarginato, che molti stanno distruggendo anche con i ghetti mentali». «Sono andata a vivere con loro. Non è stato facile adattarmi, ma così ho assaporato l’essenzialità e l’asperità vita nomade, insieme alla ricchezza delle loro persone», racconta Carla. «La più grande malattia è l’odio, alimentato dalla paura dell’altro. Il compito dell’umanità è costruire comunione, incontrare le persone senza averne timore, accettarle, amarle», le fa eco padre Varghese Theckanath, direttore del Monfort Social Institute di Hyderabad, in India, che si è fatto ‘pellegrino nelle favelas’ per sostenere «la lotta degli ultimi contro la povertà, la mancanza di accesso ai beni comuni, la violenza: come Manju, una giovane donna vedova che oggi è diventata leader delle lavoratrici, o come la mamma di Heena, che dopo la morte della figlia violentata e bruciata, è diventata un’attivista per i diritti dei più piccoli». «Ci siamo arricchiti, abbiamo allargato il nostro sguardo, facendo l’esercizio di metterci nelle scarpe degli altri per aiutarli a volare», confidano Donatella e Andrea De Carolis, che nell’ambito del progetto «Una famiglia per una famiglia » hanno affiancato una giovane mamma originaria della Guinea e le sue due bimbe, arrivate in Italia quattro anni dopo di lei. «Ci sono state – spiega la coppia, sposata da 19 anni e senza figli – dinamiche di reciprocità non sempre facili, delusioni e crisi, ma alla luce della fede le difficoltà sono diventate spunti di ripartenza e ora loro sanno di avere in noi persone su cui contare, una seconda famiglia, quella che qui non hanno». Sul maxi schermo dell’Aula Nuova del Sinodo scorrono le immagini delle carceri colombiane dove padre Andres Fernandez Pinzon svolge il suo compito di coordinatore nazionale della pastorale penitenziaria, dell’ospedale di Bangui, in Centrafrica, dove il direttore, padre Bernard Kinvi, e i suoi confratelli camilliani curano, nutrono, proteggono i rifugiati e gli sfollati a causa del conflitto che ancora lacera «il cuore del continente africano», e infine delle tante opere realizzate dalla Fondazione ‘Buddhist Tzu Chi Medicine Mission’ di Taiwan, guidata da Chin-Lon Lin. Segni concreti che il sogno di un mondo più umano può trasformarsi in realtà. (S.Careddu – Avvenire)