Roma – Una sentenza della Corte Ue ha stabilito che “gli Stati membri non sono tenuti, in forza del diritto dell’Unione, a concedere un visto umanitario” ai profughi che “intendono recarsi nel loro territorio con l’intenzione di chiedere asilo”. Secondo Mons. Gian Carlo Perego, Direttore generale della Fondazione Migrantes, la sentenza “spinge verso l’utilizzo di canali umanitari d’ingresso, superando l’utilizzo di strumenti non adeguati come il visto turistico”. In passato il visto turistico è stato spesso utilizzato per fare poi domanda d’asilo, permessi scolastici o per cercare lavoro. “Si comprende che un permesso turistico di 90 giorni non possa trasformarsi in una richiesta d’asilo – dice al Sir -. Da una parte la sentenza è una contraddizione perché in questo momento c’è la necessità di avere vie legali d’ingresso, quindi rischia di limitare ulteriormente la possibilità di un libero canale per richiedenti asilo e di spingere le persone ad utilizzare solo le vie illegali d’ingresso, sprecando risorse, mettendo a rischio vite umane, dando soldi alla criminalità organizzata”. Dall’altra parte, però, “la sentenza non nega niente dal punto di vista della prossimità perché dice solo che se c’è già un’intenzione manifesta non si può dare un permesso per turismo”, quindi è un invito a “non utilizzare lo strumento per altri fini”. “Su questo certamente bisogna vigilare – afferma – però al tempo stesso molti che partono da Paesi in guerra, con disastri ambientali o terrorismo sono costretti ad utilizzare questo strumento perché mancano canali legali d’ingresso”. Per cui, conclude, “tanto vale che ci siano canali umanitari d’ingresso per richiedenti asilo, altrimenti c’è il rischio che si limiti il diritto d’asilo”.