Lugano – Ieri sera a Balerna, piccolo comune del Canton Ticino, a pochi chilometri dal confine italiano, la parrocchia ha organizzato un momento di preghiera per ricordare il migrante morto lo scorso 27 febbraio mentre cercava di entrare in Svizzera, dal confine italiano, sul tetto di un treno partito da Milano e diretto a Bellinzona. “Una settimana fa qui, a Balerna, in questa stazione – ha detto don Marco Notari, vicario della parrocchia – i soccorritori tiravano giù dal tetto di un treno il corpo senza vita, folgorato, di un ventenne del Mali. Su quel treno cercava la vita ma vi ha trovato la morte. Era un fratello. Aveva parenti e amici da qualche parte, a casa o in Europa. È fratello anche nostro e in un modo o nell’altro ne siamo responsabili”. Alla veglia, nel cortile della stazione – riferisce l’agenzia Sir – hanno partecipato circa 80 persone, alcune provenienti dall’Italia. “Questo ragazzo – ha proseguito don Marco – è morto sul tetto di un treno, qui alla stazione ferroviaria di casa nostra, sulla soglia delle nostre case. Non possiamo non sentire questo grido, ma corriamo il rischio di non ascoltarlo, possiamo cadere nuovamente nell’indifferenza. Forse non abbiamo le soluzioni, non esiste la bacchetta magica… ma dobbiamo chiederci se crediamo davvero che le attuali disposizioni europee e svizzere in fatto di migrazione corrispondano al nostro cuore, alla nostra fede, alla Parola di Dio e al Vangelo”.
“Vi siete radunati nel luogo dove una settimana fa si è conclusa, nel modo più tragico e impressionante che si possa immaginare, una vicenda che deve rimanere infissa nella nostra coscienza e tenerci in uno stato permanente di riflessione sul nostro modo di rispondere a una delle sfide più grandi del nostro tempo”, ha detto il vescovo di Lugano, monsignor Valerio Lazzeri: “la sua sete di vita, di futuro e di felicità non gli ha fatto vedere il pericolo a cui si esponeva. E tuttavia la sua morte non ci parla tanto di un’imprudenza giovanile. Ci mette davanti agli occhi, in maniera sconcertante e concreta, l’abisso tra i sogni che il nostro mondo suscita in chi lo guarda da fuori, da una condizione di esclusione, di guerra, di povertà e di ingiustizia, e la nostra tremenda fatica ad aprire la porta di casa, almeno per ascoltare e accogliere il grido della disperazione”. “L’immagine della sua fine crudele – ha concluso mons. Lazzeri – ci spinga a fare più generosamente spazio in noi al dramma in atto, perché sappiamo trovare parole e gesti di umanità, pensieri costruttivi e progetti di solidarietà e, a ogni livello, una più consapevole, degna e concertata risposta umana e civile a quanto sta accadendo anche nel nostro Paese”.