Palermo – L’assistenza dei migranti è una vocazione di famiglia. Anche quando gli stranieri a Palermo erano molto pochi, a casa loro i rom erano frequentatori abituali e gli africani amici da conoscere e amare. È la vita di Lorella Vassallo, 58 anni, medico palermitano, che da oltre vent’anni opera proprio nel campo della cura e dell’ascolto dei migranti. Assieme al marito Mario Affronti, direttore della Medicina delle migrazioni al Policlinico di Palermo e di Migrantes della diocesi di Palermo e della Sicilia, vive con grande trasporto la sua professione accanto a chi si trova in terra straniera.
Tutto inizia nel lontano 1987, al centro salesiano Santa Chiara di Ballarò, con don Baldassere Meli, pioniere nell’accoglienza dei migranti, africani soprattutto, che diventano poco a poco i nuovi abitanti del centro storico di una Palermo in profonda trasformazione. E poi c’è il campo rom, alla Favorita, ormai ridotto a poche decine di presenze, ma negli anni Novanta una “polveriera” con circa mille persone. L’ufficio di Igiene pubblica comincia a lavorare tra quelle baracche.
Vaccinazioni per i più piccoli, medicina di base. Vincere la diffidenza per garantire il diritto alla salute. Lorella Vassallo è lì, in prima linea, a lottare contro i pregiudizi, per “accendere i riflettori su quella situazione incredibile”. Nel 2000 apre un ambulatorio territoriale in via Massimo D’Azeglio, una zona residenziale, ma facilmente raggiungibile a piedi dal campo rom. Diventa l’attuale Centro salute immigrati e nomadi dell’Asp di Palermo, guidato oggi da Ornella Dino. La dottoressa Vassallo continua il suo lavoro, che comincia a estendersi anche ad altre tipologie di migranti, le donne dell’est, gli africani e gli asiatici, tutti gli irregolari che non hanno diritto ad avere un medico di base.
“In questo ambulatorio, in cui hanno accesso almeno 5mila persone all’anno, di cui circa 1.300 prime visite – racconta Lorella Vassallo – svolgiamo un’attività di medicina generale dal punto di vista assistenziale, della prevenzione, dell’integrazione. Ci troviamo a creare contatti con gli avvocati, a dare una mano in tutti i sensi a queste persone che vengono da lontano. Arrivano molte donne che chiedono l’interruzione volontaria di gravidanza. Parlando con loro scopriamo che il problema principale è quello economico, allora proviamo a metterle in contatto con le associazioni che possono sostenerle in questo periodo di difficoltà, col Centro aiuto alla vita. In molti casi riusciamo a trovare soluzioni alternative”. La metà delle persone che arrivano in via D’Azeglio sono donne, la media d’età si è alzata intorno ai 45-50 anni, vengono dall’est Europa. Poi ci sono gli uomini del Bangladesh, ghanesi, senegalesi. Addosso, le piaghe del lavoro nero, dello sfruttamento, delle famiglie lontane a cui mandare soldi. Non c’è tempo per guardarsi indietro ed “è difficile giudicare se stessi, però vedo quello che l’accoglienza e la condivisione ha prodotto sui nostri figli – conclude Lorella, 35 anni di impegno alle spalle e 5 ragazzi a casa –. Sono aperti, senza chiusure mentali, abituati a vedere i rom in casa propria. Questo mi basta”. (Alessandra Turrisi – Avvenire)


