“Noi, con sangue straniero, ci sentiamo italiani nel cuore” di Asmae Dachan

Roma – La legge sulla cittadinanza è un tema di grande attualità, che non manca di creare dibattiti e opinioni discordanti. Da un lato ci sono i giovani che nascono e crescono in Italia, che vorrebbero vedersi riconosciuta un’identità che è certamente diversa da quella dei genitori. Dall’altro ci sono la paura e la conseguente chiusura verso gli stranieri. Se, come la storia ci insegna, il processo migratorio è inarrestabile, è altrettanto vero che è importante creare le condizioni di una convivenza basata sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti. Sono da evitare fenomeni come l’emarginazione e il rifiuto dei diversi, la creazione di quartieri ghetto e di zone fuori dalla legalità, dove possono proliferare la criminalità organizzata e il radicalismo. In questi termini, quella della cittadinanza non è solo una concessione che viene fatta, ma deve essere anche e soprattutto un percorso che porta alla formazione di nuovi italiani e italiane. Al di là degli aspetti legali e burocratici, è interessante soffermarsi anche su cosa vuol dire, a livello psicologico e affettivo, essere italiani quando si ha sangue straniero. È come avere due madri, una di sangue, la terra d’origine e una adottiva, la terra che accoglie o che dà i natali. Con la prima, il rapporto è basato sull’affetto, sulla memoria, sul legame con le radici. Con la seconda il rapporto si basa sull’amore incondizionato, sulla vita vissuta e sui progetti per il futuro. I bambini che nascono e si formano in Italia spesso sono bilingue, ma la lingua con cui giocano, studiano, comunicano, pensano e sognano è proprio l’italiano. Il loro sguardo si abitua, sin da piccoli, ai paesaggi e all’architettura del Bel Paese e il loro modo di concepire una strada, un giardino, una casa, attinge da questa cultura visiva. La loro personalità si forma sui libri di storia, arte e letteratura italiana; le poesie che reciteranno, gli autori che leggeranno, i quadri e le sculture che formeranno il loro bagaglio culturale saranno italiani. Canteranno in italiano, sosteranno squadre sportive col tricolore, impareranno filastrocche e modi di dire anche in vernacolo. Essere cittadini italiani sarà per loro un processo naturale, un percorso di cui non si renderanno nemmeno pienamente conto perché avverrà in modo spontaneo, tra i banchi di scuola, nei giardini dove giocheranno con gli altri bambini e ragazzi che frequenteranno. L’aspetto più complesso della loro crescita umana e culturale forse sarà trovare il modo di conciliare tutto ciò che impareranno in questo contesto con ciò che è legato al Paese e alla cultura di provenienza, che i genitori avranno piacere di trasmettere. Non si tratta semplicemente di alternare pasta e cous cous, ma di poter vivere pienamente la propria identità di nuovi cittadini italiani e allo stesso tempo di ponti tra culture. Non è sempre facile trovare un punto di equilibrio e se la famiglia non è aperta ai cambiamenti, spesso si creano situazioni di sofferenza. Sta alle famiglie comprendere che i figli cresciuti in un’epoca e un contesto nuovo sono individui con una formazione e una sensibilità diversa. Quando questi bimbi diventeranno adulti e a loro volta avranno figli, trasmetteranno il loro bagaglio di tradizioni e cultura, che sarà naturalmente italiano. Non riconoscere a questi individui la loro natura di nuovi italiani, significherebbe provocare un senso di rifiuto e di discriminazione davvero traumatizzante. Generazione dopo generazione, il legame con la terra d’origine si trasmetterà come valore affettivo, mentre quello con l’Italia sarà sempre più forte, autentico, intriso di senso di appartenenza, fierezza, identità e della voglia di contribuire alla crescita, alla sicurezza, al successo del loro Paese: l’Italia. (*scrittrice italo-siriana*)