I fantasmi di Portopalo: fiction della memoria

Roma – È tratta da una storia vera la fiction “I fantasmi di Portopalo” di Alessandro Angelini e interpretata da Giuseppe Fiorello (che figura anche tra gli sceneggiatori e i produttori): prende le mosse dal libro del giornalista Giovanni Maria Bellu, dal racconto del disastroso naufragio della nave F174 avvenuto il giorno di Natale del 1996, a pochi metri da Portopalo di Capo Passero, punta estrema della Sicilia. Un naufragio dove morirono circa 300 persone, in una delle tragedie del mare tra le più importanti registrate nel Mediterraneo dalla Seconda guerra mondiale. La miniserie appena andata in onda su Rai Uno, lunedì 20 e martedì 21 febbraio, è prodotta da Picomedia, Rai Fiction e Iblafilm, raggiungendo nella prima puntata 6.454.000 telespettatori con uno share del 24,63%, mentre nella seconda 6.620.000 spettatori con il 25.4% di share.

Un racconto di successo per la Rai, in piena mission di servizio pubblico, che tutela la memoria del passato e offre un contributo alla sensibilizzazione degli spettatori a non distogliere lo sguardo dalla sofferenza che ci è prossima.

Come ha ricordato papa Francesco nel suo primo viaggio a Lampedusa, l’8 luglio 2013, “in questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”. E sempre il Papa ha invitato ieri, 21 febbraio, nuovamente la comunità tutta a una risposta ferma dinanzi al dramma delle migrazioni, richiamando quattro verbi, quattro parole “bussola” utili per il nostro vivere oggi: “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare” (discorso al Forum internazionale “Migrazioni e pace”).

 “Per anni ho inseguito questa storia, per anni mi sono posto l’obiettivo di far conoscere al pubblico questa storia sepolta in fondo al mare e dimenticata per troppo tempo dalle istituzioni”. Sono le parole di Giuseppe Fiorello, protagonista della miniserie “I fantasmi di Portopalo”, da sempre attento ai racconti di impegno civile e dal profilo sociale esemplare, storie che affondano le radici nella storia comune: “Salvo D’Acquisto”, “L’uomo sbagliato”, “Joe Petrosino”, “Giuseppe Moscati”, “L’oro di Scampia”, “L’angelo di Sarajevo”, “Io non mi arrendo”.

Fiorello ora dà volto al pescatore Salvo Lupo – nel film Salvo Ferro -, che ha infranto il silenzio tra gli abitanti di Portopalo di Capo Passero in Sicilia, trovando il coraggio di denunciare la presenza di morti in fondo al mare a poche miglia dalla costa. Un silenzio, soprattutto tra i pescatori, legato alla paura di vedersi bloccare le barche, la possibilità di uscire a mare per sbarcare il lunario.

Siamo nel 1996, all’indomani del Natale un gruppo di pescatori siciliani di Portopalo escono a mare per fare giornata. La barca di Salvo (Giuseppe Fiorello) s’imbatte in un giovane di origini asiatiche alla deriva. Lui è vivo, ma di lì a poco altri corpi inizieranno ad affiorare dal mare, corpi che finiscono nelle reti dei pescherecci. Cala così il silenzio e la paura tra i pescatori, che preferiscono tacere, non dire nulla alle autorità. Anni dopo, però, Salvo non si dà pace, è ancora lì a tormentarsi da quei corpi, dall’urgenza di dare voce ai dimenticati; quegli ultimi che anche lui ha cercato inizialmente di ignorare. Si mette pertanto in contatto con il giornalista Giacomo Sanna (Giuseppe Battiston), pregandolo di venire a indagare, a fare chiarezza. Il percorso sarà ovviamente irto di difficoltà, soprattutto generate dall’incredulità o dal timore di uno scandalo.

Ma la tragedia rivelerà ben presto i suoi contorni spaventosi. A tutti sarà noto quanto accaduto tra il 25 e il 26 dicembre del 1996, l’affondamento della nave F174 dove persero la vita circa 300 persone provenienti da India, Pakistan e Sri Lanka. “Non è solo un film d’impegno civile – ha dichiarato Fiorello – ma soprattutto un film che racconta con chiarezza che la società civile è la vera politica di un Paese. Questa è anche la storia di una piccola comunità di siciliani pescatori e di una famiglia che hanno dovuto portare sulle proprie spalle il peso morale e politico di una grande tragedia umana e hanno saputo reagire con forza e dignità nonostante fossero stati lasciati soli”.

Lo stile della miniserie “I fantasmi di Portopalo” è indubbiamente buono, così come è ben salda la regia di Alessandro Angelini (al cinema con “L’aria salata” nel 2006 e “Alza la testa” nel 2009); il regista tiene il timone del racconto senza cedere al facile sentimentalismo oppure alla prevedibile enfatizzazione eroica del protagonista. Certo, qualche scivolata melensa c’è, soprattutto attraverso l’espediente narrativo del giovane asiatico Fortunato (Bagya Lankapura), figura inventata. Il resto è storia vera. Dispiace un po’, però, che la Chiesa locale appaia incolore, allineata nella reticenza della comunità verso Salvo e la sua famiglia.

Invece, sempre grande e convincente è la prova d’attore di Giuseppe Fiorello, che riesce a dare credibilità, spessore e trasporto edificante al personaggio del pescatore Salvo, al racconto nel suo complesso. Un prodotto che, seppur non privo d’incertezze, si configura come un’ottima occasione per fare memoria, da utilizzare soprattutto con le giovani generazioni in ambito formativo, per ricordare che il domani si costruisce sull’accoglienza e non sull’indifferenza.

La notte del 26 febbraio 2017 l’Italia saprà se “Fuocoammare” (2016) di Gianfranco Rosi ha vinto l’Oscar come miglior documentario, fotografia di vite di migranti e di isolani di Lampedusa, che valorosamente non arretrano di fronte all’emergenza sbarchi, nonostante l’Europa non sia sempre presente. Come “Fuocoammare” altri titoli hanno raccontato le disgrazie del mare e il cammino dell’accoglienza. Anzitutto “Terraferma” (2011) di Emanuele Crialese, ambientato nell’isola di Linosa, storia di dispersi e uomini pronti a giocarsi nella solidarietà; il poetico e duro “Il villaggio di cartone” (2011) di Ermanno Olmi, dove una chiesa vuota nel Nord del Paese si ripopola dando riparo agli ultimi, ai migranti, grazie al coraggio di un vecchio sacerdote che conserva l’“odore delle pecore”. Sempre dall’Italia del Nord vengono le storie di “Io solo lì” (2011) e “La prima neve” (2013) di Andrea Segre, narrazioni tra pregiudizi e integrazione. Ultimo, il bello e duro “Welcome” (2009) di Philippe Lioret, uno sguardo sul drammatico pellegrinaggio di migranti tra le coste della Francia e dell’Inghilterra. Tutti da vedere. (Sergio Perugini – Commissione nazionale valutazione film Cei)