Tra muri e ponti

Negli ultimi dieci anni, la presenza dei minori soli negli spostamenti è divenuto un fattore comune delle migrazioni a livello mondiale. Il loro numero è drammaticamente aumentato, sono i nuovi protagonisti dei processi migratori.

Questo “nuovo” fenomeno globale ha portato diversi paesi, tra cui il nostro, a porre il tema dei “minori soli” al centro dell’azione pubblica e dell’agenda politica, e ha spinto inoltre molti ricercatori ad interrogarsi sulla propensione dei giovani all’emigrazione per comprendere i fattori che li orientano a lasciare i loro paesi di origine. Dalle biografie dei minori migranti, a partire dalle cause della migrazione attraverso i fattori di spinta o di attrazione (push and pull factors), sappiamo che arrivano perché in fuga dalla guerra, mandati dalle famiglie per ragioni economiche, in cerca di lavoro, o anche – una minoranza – perché attratti da “nuovi modelli e stili di vita”. Le modalità del viaggio sono le più svariate, una miriade di rotte e di strategie e soprattutto tanto coraggio. Nel VI Rapporto 2016 dell’Anci – I comuni e le politiche di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati – Roma si attesta nel 2014 la prima città italiana ad ospitare più minori stranieri non accompagnati con 1.960 presenze in un trend di crescita che è stato in costante aumento negli ultimi due anni. Sempre nel 2014 (con un dato simile anche negli ultimi due anni) registriamo che i minori sono quasi la totalità adolescenti tra i 16–17 anni solo l’1% ha meno di 10 anni. Solo nel 2016 sono arrivati in Italia 25846 minori stranieri non accompagnati giunti via mare, nel 2015 erano 12450 e nel 2014 sono stati 13026 (dati Unhcr). I minori non accompagnati rappresentano oggi il 15% di tutti gli arrivi via mare (dati Ismu) mentre costituivano l’8% nel 2015 e il 7,7 % nel 2014. La maggior parte arriva dall’Africa.

Al primo posto i giovani Eritrei, Gambiani, Nigeriani, Egiziana (in modo significativo presenti nel Lazio). Appare quindi chiaro che il nostro presente e futuro imminente ruota intorno alla parola integrazione. Alla definizione che ne sapremo dare, alle esperienze che riusciremo a realizzare, ai modelli che sapremo definire. È la sfida dei nostri tempi, un compito a cui la Chiesa Italiana non si sottrae.

Questa parola, integrazione, è talmente importante che, come accade in questi giorni, segnerà lo stile di vita di ciascuno di noi. Ma l’integrazione non è un evento magico, non si realizza con la forza del pensiero, senza fatica e senza buttare il cuore oltre l’ostacolo. È, prima di ogni cosa, un sentimento popolare di disponibilità alla contaminazione di tutto il bello e il buono presente in questo nostro mondo. L’integrazione è la consapevolezza che ci sono strade nuove per soluzioni a problemi antichi. E’ occasione per non “accomodarci” nelle nostre poltrone dell’indifferenza ma spinta a partecipare, a metterci ognuno il suo. L’integrazione ci chiede, con forza, di mettere a frutto i nostri talenti. Se tutto questo deve essere presente in chi accoglie, non può mancare la parte di chi è accolto.

Per ognuno di loro inizia un travaglio che consiste nella fase di riadattamento e che ognuno affronterà secondo le risorse personali che può mettere in gioco, ammesso che decida di essere protagonista di questo particolare periodo della sua vita.

 Quando, invece, un ragazzo decide, per infiniti motivi, di non andare a scuola, di non frequentare la attività che la Casa Famiglia gli offre, di rifiutare il cibo italiano, di non curiosare con la musica italiana, di non partecipare alle attività sportive, di mantenere i contatti con la famiglia di origine ma di non averne con gli adulti italiani di riferimento con cui convive ogni giorno, noi Stato Italiano cosa dovremmo fare?

Dovremmo continuare a concedere un parere positivo per il permesso di soggiorno di attesa occupazione? E i ragazzi che hanno rifiutato per intero una proposta educativa, oppure sono arrivati a pochi mesi dai diciotto anni, e quindi solo ed esclusivamente per i documenti, possono dirsi integrati?

Non lo crediamo. Entrano nel tessuto della società italiana degli alieni della «Terra di Mezzo». Le stazioni delle città metropolitane italiane ne sono piene, e tutte le notti ospitano sui cartoni, come larve, quei giovanissimi ce si sono perduti in questa «Terra di Mezzo», che hanno deciso di non mettersi in gioco, che non ne hanno avuto il tempo perché arrivati a ridosso del diciottesimo anno.

Sono domande importanti che richiedono risposte a più livelli. Lo Stato Italiano sta discutendo una nuova legge ad hoc sui minori stranieri non accompagnati. Gli operatori sociali devono fare sistema per individuare le pratiche e gli indicatori di riferimento. E poi occorre soprattutto un grande lavoro di advocacy sulla politica ad ogni livello, professione ad oggi praticamente sconosciuta.

 

Ma alla fine di tutte queste parole resta, per tutti, sempre la stessa domanda: oggi cosa scelgo di costruire, un ponte o un muro? ( Mons. Pierpaolo Felicolo  e Luigi Pietrolongo)