Milano – Anche in pieno inverno e col freddo non si ferma il flusso dei migranti. Sono circa 800 le persone salvate ieri, nel Mediterraneo, nel corso di sei diverse operazioni coordinate dalla Guardia costiera. I migranti si trovavano a bordo di sei gommoni, al largo della Libia. E proprio da questo Paese, lacerato dai conflitti e da una situazione economica deteriorata, arriva l’allarme.
Lo sforzo dell’Europa per fermare i continui arrivi, ma soprattutto gli scafisti e i morti in mare con l’addestramento della guardia costiera libica deve fare i conti con ciò che avviene lungo le coste del Paese. Sono oltre 180mila gli arrivi registrati nell’ultimo anno. E, con la chiusura della cosiddetta “rotta balcanica”, il flusso dei migranti si è spostato lungo la rotta centrale del Mediterraneo, dalla Libia verso l’Italia. Calcolatrice alla mano, significa più o meno 500 partenze ogni giorno. «Con questi numeri faccio fatica a immaginare che nessuno se ne accorga, anche perché il luogo di partenza è sempre lo stesso» commenta Claudia Gazzini, analista esperta di Libia della ong International Crisis Group, confermando anche i retroscena e il ruolo della guardia costiera libica
raccontati nel recente reportage di Nancy Porsia pubblicato su Post Internazionale. «Che ci possano essere alcune unità di sicurezza coinvolte nel traffico di migranti si sapeva ed è cosa risaputa – prosegue Gazzini – anche se in realtà abbiamo sempre pensato a una loro complicità sulla terra ferma». La Libia è diventata terra di transito per migliaia di migranti, provenienti soprattutto dalle regioni subasahariane, che ogni giorno fuggono da guerre, fame e discriminazioni. Attraversano il Paese per raggiungere la costa e da lì imbarcarsi per l’Europa. Ma, secondo l’analista della ong che monitora i Paesi in conflitto, non sono pochi i miliziani libici addetti alla pubblica sicurezza che riescono a speculare sulla tratta dei migranti con il controllo, in particolare, dei centri di detenzione. Qui migliaia di persone vengono detenute in attesa di essere espulse. Ma spesso e volentieri la detenzione termina quando il migrante è riuscito a pagare il riscatto al proprio secondino che lo vende per pochi dinari a datori di lavoro- schiavisti. Storie che raccontano anche i migranti che sbarcano sulle nostre coste. «Questo si sa, – prosegue Gazzini – avviene lungo la costa nei dintorni di Tripoli e più a sud vicino al confine con il Niger, nella città di Sebha. Alcuni miliziani ci guadagnano con il cosiddetto catering, l’approvvigionamento cioè dei migranti. Ma è la prima volta che sento menzionare un capo della guardia costiera complice degli scafisti» ammette la ricercatrice. Nell’articolo si cita infatti Al-Bija – il capo della guardia costiera di Zawija – come “capo indiscusso del traffico dei migranti”. «Naturalmente non stiamo parlando dei vertici della guardia costiera – prosegue Gazzini – ma solo di alcuni funzionari o capi di alcune zone. È però plausibile che questi accettino le mazzette per chiudere gli occhi sulle partenze dei gommoni e dei pescherecci stracarichi di migranti che prendono il largo alla volta dell’ Europa». Dall’inizio del conflitto e con l’instabilità politica, la situazione economica in Libia è degenerata. Intere famiglie che prima potevano permettersi l’agiatezza della classe media sono scivolate nella miseria. Manca il lavoro, e per recuperare quel poco risparmiato un’intera vita, si è costretti a fare code lunghe ore fuori dalle banche. E il business del traffico dei migranti può far comodo. Si sa, inoltre, che i trafficanti partono sempre dallo stesso punto e non si imbarcano da luoghi nascosti. «Sappiamo con certezza, ad esempio, che nell’ultimo anno Sabrata è diventato il centro di raccolta e smistamento delle partenze dei migranti. È naturale che alcuni funzionari siano “comprati” dai trafficanti – prosegue – perché la situazione economica in Libia continua a deteriorarsi». Non basta quindi “addestrare” gli uomini giusti – «quelli che vogliono veramente contrastare il traffico e non trarne profitto» – conclude l’analista della Ong, ma, per un vero cambiamento, suggerisce, «c’è bisogno di un miglioramento dell’insieme del quadro economico della Libia”. (Daniela Fassini – Avvenire)