Città del Vaticano – “Il problema migratorio è una questione che non può lasciare alcuni Paesi indifferenti, mentre altri sostengono l’onere umanitario, non di rado con notevoli sforzi e pesanti disagi, di far fronte ad un’emergenza che non sembra aver fine”. A dirlo questa mattina Papa Francesco incontrando il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.
Per il Pontefice, che ha dedicato il suo intervento al tema della sicurezza e della pace, tutti dovrebbero sentirsi “costruttori” e “concorrenti al bene comune internazionale, anche attraverso gesti concreti di umanità, che costituiscono fattori essenziali di quella pace e di quello sviluppo che intere nazioni e milioni di persone attendono ancora”. Da quo il grazie ai tanti Paesi che con “generosità accolgono quanti sono nel bisogno”. Tra questi diversi Stati europei, specialmente l’Italia, la Germania, la Grecia e la Svezia.
Papa Francesco ha quindi ricordato il viaggio nell’isola di Lesvos, insieme ai “miei fratelli il Patriarca Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos”, dove “ho visto e toccato con mano la drammatica situazione dei campi profughi, ma anche l’umanità e lo spirito di servizio delle molte persone impegnate per assisterli”. Per il papa non bisogna dimenticare l’accoglienza offerta da altri Paesi europei e del Medio Oriente, quali il Libano, la Giordania, la Turchia, come pure l’impegno di diversi Paesi dell’Africa e dell’Asia. “Anche nel corso del mio viaggio in Messico, dove ho potuto sperimentare la gioia del popolo messicano – ha spiegato – mi sono sentito vicino alle migliaia di migranti dell’America Centrale, che patiscono terribili ingiustizie e pericoli nel tentativo di poter avere un futuro migliore, vittime di estorsione e oggetto di quel deprecabile commercio – orribile forma di schiavitù moderna – che è la tratta delle persone”.
Nel suo discorso Papa Francesco si è detto “convinto che per molti il Giubileo straordinario della Misericordia sia stata un’occasione particolarmente propizia anche per scoprire la grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale” sottolineando che “una cultura della misericordia” significa “una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. Solo così si potranno costruire società aperte e accoglienti verso gli stranieri e, nello stesso tempo, sicure e in pace al loro interno”. “Ciò è tanto più necessario nel tempo presente, in cui proseguono senza sosta in diverse parti del mondo ingenti flussi migratori”, ha aggiunto ricordando i numerosi profughi e rifugiati in alcune zone dell’Africa, nel Sudest asiatico e a quanti fuggono dalle zone di conflitto in Medio Oriente”. “Occorre un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa”, ha posi sottolineato: “ciò implica saper coniugare il diritto di ogni essere umano di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse, e nello stesso tempo garantire la possibilità di un’integrazione dei migranti nei tessuti sociali in cui si inseriscono, senza che questi sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti”. (Raffaele Iaria)