L’anno nero del mare: morti 5mila migranti

Milano – Il 2016 sarà ricordato come l’anno record di morti nel Mediterraneo. Sono infatti almeno 5.000 i migranti che hanno perso la vita durante la traversata in mare, secondo i dati resi noti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l’agenzia Onu per i rifugiati (Acnur). «Questo è il peggior bilancio di fine anno di sempre», commenta il portavoce di Acnur, William Spindler. Oltre 1.300 in più rispetto a un anno fa. Nel 2015 sono morti in mare circa 3.777 migranti.

Ma potrebbero essere anche molti di più dei 5mila registrati, perché in questi viaggi non si staccano biglietti, non c’è carta d’imbarco e manca qualsiasi traccia di pagamento. I trafficanti di esseri umani caricano le carrette del mare all’inverosimile: ogni gommone che parte dalla Libia trasporta almeno 100-150 migranti. E sui pescherecci i numeri raddoppiano o addirittura triplicano: 500-700 persone stipate sopra e sotto coperta. Di solito i viaggiatori nella stiva (quelli che rischiano di più, perché appena il natante imbarca acqua sono i primi a non farcela), sono anche quelli che hanno pagato il biglietto a prezzo stracciato. Meno di mille dinari tutto compreso – anche il conto di rischiare la vita – per tentare di raggiungere l’Europa, lasciandosi alle spalle guerre, fame, violenze e discriminazioni.

Perché così tanti morti? Perché l’unica rotta aperta, dopo l’accordo siglato tra l’Ue e la Turchia nel mese di marzo (che di fatto respinge al proprio paese i migranti arrivati sulle piccole isole greche) è quella del Mediterraneo centrale, dalla Libia alla Sicilia. La più lunga e anche la più pericolosa. Spesso affrontata con natanti ormai derelitti: pescherecci abbandonati e resuscitati per un viaggio di sola andata o gommoni comprati in Cina sprovvisti di chiglia rigida che, col mare mosso, affondano in poche ore. Per risparmiare, inoltre, i trafficanti utilizzano solo pochi litri di carburante, giusto il tempo di raggiungere le acque internazionali per poi lasciare le carrette, con tutto il loro carico umano, in balia del mare. E basta un nulla per finire in acqua. «L’aumento dei decessi è allarmante» aggiunge Spindler.

La strage di donne. Muoiono schiacciate dalla ressa, su gommoni e barchini stracarichi. Oppure arrivano nei porti italiani, stremate, incinte o a fine gravidanza. Il segno della violenza subita lungo il lungo viaggio della speranza verso l’Europa, attraverso il deserto e la Libia. Sono spesso le donne e i bambini a pagare il prezzo più alto delle traversate. Sono una ventina le donne morte e recuperate dai soccorritori, solo nell’ultimo mese. Sei cadaveri sono giunti a Cagliari, lo scorso 13 dicembre, insieme allo sbarco di oltre 850 migranti. Dall’imbarcazione della Guardia costiera sono sbarcate anche tre donne incinte. Una di loro con evidenti segni di percosse e violenza. Un’altra ragazza è finita all’ospedale per ferite e assistenza psicologica. Lo scorso 7 dicembre la Procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta sulla “strage delle donne” migranti al largo della Libia. Quattordici le salme recuperate tra barconi e gommoni semiaffondati. Altre due donne sono invece morte per ipotermia subito dopo l’operazione di soccorso in mare.

La morte arriva anche via terra. Ma i pericoli per i migranti non finiscono con la traversata in mare. Una volta sbarcati sulle coste italiane (o greche) infatti, le porte chiuse dell’Unione europea li costringono a cercare alternative molto pericolose ai normali e più sicuri viaggi in treno. Dal Brennero a Ventimiglia, da Como a Trieste, sono ormai decine i migranti che hanno perso la vita, dopo molti pericoli e insidie, nel tentativo di passare in Francia, in Svizzera o in Germania. A Ventimiglia si percorre l’autostrada a piedi, di notte, per sfuggire ai controlli. Al Brennero i migranti si nascondono sotto i tir trasportati sui treni che oltrepassano il confine o si incamminano lungo i binari della ferrovia cercando di passare il confine in zone meno sorvegliate. Al porto di Trieste spesso vengono scoperti migranti chiusi da giorni all’interno di container trasportati su navi cargo partite dalla Grecia o da Ancona.

Resta il nodo dell’accoglienza. «Il futuro ci impone una condivisione più giusta e un impatto meno forte sui territori: finalmente abbiamo risorse adeguate allo sforzo che il paese sta facendo per l’accoglienza e lavoreremo in questa direzione», ha detto Mario Morcone, prefetto Capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, annunciando per il 2017 «100 milioni di euro per i Comuni che accoglieranno i profughi». (Daniela Fassini)