Milano – “Le parole rivolte dal Papa alle comunità indigene del Chiapas assumono un significato epocale”. E’ quanto ha detto don Alberto Vitali, direttore dell’Ufficio Migrantes di Milano e autore del libro “Il vescovo del Chiapas. Vita di Samuel Ruiz detto Tatic” (Emi) in una intervista alla radio Vaticana. “È dai tempi del Concilio – spiega il sacerdote – che si è avviata una riflessione sulle colpe storiche, non solo dei popoli colonizzatori, ma della stessa Chiesa nei confronti degli indios. Accanto a fulgidi esempi di sacerdoti che si sono messi dalla parte delle popolazioni indigene, come Bartolomé de Las Casas, è altrettanto vero che una sorta di paternalismo nei loro confronti ha tradito la presunzione europea di considerarle incapaci di assumere in prima persona l’annuncio del Vangelo”. “I pochi sacerdoti indios ordinati – racconta il sacerdote – hanno spesso riferito di essere stati spinti a compiere un cammino di purificazione della loro cultura per assumere quella europea”. “Negli ultimi anni invece – aggiunge don Vitali –, soprattutto dopo la conferenza di Medellin (1968), alcune Chiese locali, come quella di San Cristóbal de Las Casas del vescovo Samuel Ruiz, hanno promosso una vera e propria pastorale indigena, e non indigenista, dove i popoli indigeni sono considerati ‘soggetti’ della fede”. “Il fatto che il Papa oggi riabiliti la loro cultura e chieda perdono agli indios – conclude – è, insieme, il riconoscimento di questo cammino e una consacrazione del loro mandato come testimoni del Vangelo nel mondo di oggi”.