Città del Vaticano – “Vorrei che anche per il vostro popolo si desse inizio a una nuova storia. Che si volti pagina! È arrivato il tempo di sradicare pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze che spesso sono alla base della discriminazione, del razzismo e della xenofobia. Nessuno si deve sentire isolato e nessuno è autorizzato a calpestare la dignità e i diritti degli altri”. Lo ha detto questa mattina Papa Francesco incontrando nell’Aula Paolo VI circa 5000 rom e sinti presenti a Roma per il pellegrinaggio mondiale in occasione del 50mo anniversario dell’incontro con Paolo VI a Pomezia, il 26 settembre 1965 promosso dal Pontificio Consiglio per i Migranti e Itineranti in collaborazione con la Fondazione “Migrantes”, l’Ufficio “Migrantes” della diocesi di Roma e la Comunità di Sant’Egidio. Dopo aver ricordato le parole del Beato Paolo VI Papa Bergoglio ha sottolineato che quelle parole spronarono la Chiesa “all’impegno pastorale con il vostro popolo, incoraggiando allo stesso tempo anche voi ad avere fiducia in essa. Da quel giorno fino ad oggi, siamo stati testimoni – ha detto – di grandi cambiamenti sia nel campo dell’evangelizzazione sia in quello della promozione umana, sociale e culturale della vostra comunità”. Francesco ha ricordato anche come nel popolo gitano un “segno forte di fede e crescita spirituale” è il numero “sempre in aumento di vocazioni sacerdotali, diaconali e di vita consacrata”. In aula era infatti presente, fra gli altri, il Vescovo mons. Devprasad Ganava, “figlio di questo popolo”: “a voi, cari consacrati, i vostri fratelli e sorelle guardano con fiducia e con speranza per il ruolo che ricoprite e per tutto ciò che potete fare nel processo di riconciliazione all’interno della società e della Chiesa. Voi siete un tramite tra due culture e, per questo, vi si chiede di essere sempre testimoni di trasparenza evangelica per favorire la nascita, la crescita e la cura di nuove vocazioni. Sappiate essere accompagnatori non solo nel cammino spirituale, ma anche nell’ordinarietà della vita quotidiana con tutte le sue fatiche, gioie e preoccupazioni”. Papa Bergoglio dice di conoscere le difficoltà del popolo nomade: “visitando alcune parrocchie romane, nelle periferie della città, ho avuto modo di sentire i vostri problemi, le vostre inquietudini, e ho constatato che interpellano non soltanto la Chiesa, ma anche le autorità locali. Ho potuto vedere le condizioni precarie in cui vivono molti di voi, dovute alla trascuratezza e alla mancanza di lavoro e dei necessari mezzi di sussistenza. Ciò contrasta col diritto di ogni persona ad una vita dignitosa, a un lavoro dignitoso, all’istruzione e all’assistenza sanitaria. L’ordine morale e quello sociale impongono che ogni essere umano possa godere dei diritti fondamentali e debba rispondere ai propri doveri. Su questa base è possibile costruire una convivenza pacifica, in cui le diverse culture e tradizioni custodiscono i rispettivi valori in atteggiamento non di chiusura e contrapposizione, ma di dialogo e integrazione. Non vogliamo più assistere a tragedie familiari in cui i bambini muoiono di freddo o tra le fiamme, o diventano oggetti in mano a persone depravate, i giovani e le donne sono coinvolti nel traffico di droga o di esseri umani. E questo perché spesso cadiamo nell’indifferenza e nell’incapacità di accettare costumi e modi di vita diversi dai nostri”. Il papa ha quindi invitato a permettere che il Vangelo della misericordia “scuota le nostre coscienze” si aprino “i nostri cuori e le nostre mani ai più bisognosi e ai più emarginati, partendo da chi ci sta più vicino”. Da qui l’esortazione a “voi per primi, nelle città di oggi in cui si respira tanto individualismo, ad impegnarvi a costruire periferie più umane, legami di fraternità e condivisione; avete questa responsabilità, è anche compito vostro. E potete farlo se siete anzitutto buoni cristiani, evitando tutto ciò che non è degno di questo nome: falsità, truffe, imbrogli, liti. Avete l’esempio del beato Zeffirino Giménez Malla, figlio del vostro popolo, che si distinse per le sue virtù, per umiltà e onestà, e per la grande devozione alla Madonna, una devozione che lo portò al martirio e ad essere conosciuto come ‘Martire del Rosario’. Ve lo ripropongo oggi come modello di vita e di religiosità, anche per i vincoli culturali ed etnici che vi legano a lui”. Il pontefice ha quindi invitato i nomadi a non dare ai mezzi di comunicazione e all’opinione pubblica occasioni per “parlare male di voi. Voi stessi siete i protagonisti del vostro presente e del vostro futuro. Come tutti i cittadini, potete contribuire al benessere e al progresso della società rispettandone le leggi, adempiendo ai vostri doveri e integrandovi anche attraverso l’emancipazione delle nuove generazioni”. “Vedo – ha poi proseguito – qui in Aula molti giovani e bambini: sono il futuro del vostro popolo ma anche della società in cui vivono. I bambini sono il vostro tesoro più prezioso. La vostra cultura oggi è in fase di mutazione, lo sviluppo tecnologico rende i vostri ragazzi sempre più consapevoli delle proprie potenzialità e della loro dignità, e loro stessi sentono la necessità di lavorare per la promozione umana personale e del vostro popolo. Questo esige che sia loro assicurata un’adeguata scolarizzazione”. L’istruzione è “sicuramente – ha poi aggiunto – la base per un sano sviluppo della persona. È noto che lo scarso livello di scolarizzazione di molti dei vostri giovani rappresenta oggi il principale ostacolo per l’accesso al mondo del lavoro. I vostri figli hanno il diritto di andare a scuola, non impediteglielo! È importante che la spinta verso una maggiore istruzione parta dalla famiglia, dai genitori, dai nonni; è compito degli adulti assicurarsi che i ragazzi frequentino la scuola. L’accesso all’istruzione permette ai vostri giovani di diventare cittadini attivi, di partecipare alla vita politica, sociale ed economica nei rispettivi Paesi”. Alle istituzioni civili – ha proseguito – è chiesto “l’impegno di garantire adeguati percorsi formativi per i giovani gitani, dando la possibilità anche alle famiglie che vivono in condizioni più disagiate di beneficiare di un adeguato inserimento scolastico e lavorativo. Il processo di integrazione pone alla società la sfida di conoscere la cultura, la storia e i valori delle popolazioni gitane”. Il Papa aveva aperto il suo saluto con una espressione nella loro lingua, il
romani’: “O Del si tumentsa!”, “il Signore sia con voi”. (Raffaele Iaria)