Roma – Nel 2015 il mese di agosto ha un significato molto particolare per l’Italia, gli italiani, l’Europa, gli europei, il lavoro di tanti uomini e donne per due diversi eventi entrambi, allo stesso tempo, tragici e simbolici.
Dal 2001, l’8 agosto, si celebra la Giornata Nazionale del Sacrificio e del Lavoro Italiano nel Mondo. La data rimanda alla tragedia nella miniera belga di Marcinelle quando, l’8 agosto del 1956 morirono 262 minatori, di cui 136 italiani: il numero più numeroso dei 600 italiani morti nelle miniere tra il 1946 e il 1956.
Sono passati 50 anni invece dalla morte di 88 tra operai, tecnici ed ingegneri degli oltre 700 impegnati in quel momento nella costruzione di una delle infrastrutture più importanti d’Europa, la diga di Mattmark, in Svizzera. Erano le 17.15 di lunedì 30 agosto 1965: in meno di 30 secondi, le baracche, la mensa e le officine furono sepolte sotto oltre 50 metri di ghiaccio, ghiaia e sassi.
“La montagna di ghiaccio aveva inghiottito la vita di 88 persone, 86 uomini e 2 donne, e lasciato 10 feriti gravi. Insieme agli italiani perirono 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci, un apolide e 23 svizzeri. La provincia di Belluno fu quella più colpita con 17 vittime, insieme al Comune di San Giovanni in Fiore (Cosenza), che perse 7 uomini. Il dolore toccò tanti borghi di provincia da Nord a Sud, fino a quel momento sconosciuti, come Acquaviva di Isernia, Gessopalena oppure Bisaccia e Montella, Gagliano del Capo, Tiggiano e Ugento e, ancora, Uri, Senorbì e Orgosolo, Castelvetrano, Cormons e molti altri. Complessivamente, delle 56 vittime italiane, 55 uomini e una donna, 17 erano veneti, 8 calabresi, 4 abruzzesi, 5 trentini, 3 campani, 3 emiliani, 3 friulani, 3 pugliesi, 3 sardi, 3 siciliani, 2 piemontesi, 1 molisano e 1 toscano”.
È quanto si leggerà nel Rapporto Italiani nel Mondo 2015 che sarà presentato a Roma il 6 ottobre prossimo. Il volume della Fondazione Migrantes, giunto quest’anno alla decima edizione, dedicherà particolare attenzione a questi eventi rileggendoli in chiave europea e riattualizzandoli alla luce dell’attuale ripresa delle partenze degli italiani. Numeri sempre più consistenti legati a necessità occupazionali vissute a livello sicuramente nazionale, ma alla luce di un nuovo scenario europeo e internazionale.
“Il ricordo di queste morti sul lavoro, in questo tempo di una nuova emigrazione italiana giovanile in Europa e nel mondo – ricorda il Direttore generale della Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego – richiama la necessità di una tutela dei lavoratori migranti tutti, siano essi italiani fuori dei confini nazionali o cittadini di altre nazionalità che vivono e lavorano in Italia”.
Un editoriale del Corriere della Sera del 9 agosto 1956, titolava: L’Italia può esportare dei lavoratori, ma non degli schiavi: un titolo significativo che pone una riflessione sull’attualità delle tragedie che segnano il mondo del lavoro migrante nel mondo.
In un momento in cui viviamo concretamente la cosiddetta “era delle migrazioni” l’attenzione alla dignità del lavoratore migrante diventa imprescindibile soprattutto considerando che una serena accoglienza si può attuare solo accompagnando all’autonomia i migranti attraverso quattro elementi fondamentali: famiglia, casa, lavoro, istruzione.
“Il ricordo e la preghiera in questo giorno si unisce all’impegno per le persone – conclude Mons. Perego – ancora oggi vittime del lavoro, come le recenti cronache testimoniano: spesso lavoratori migranti, italiani all’estero e immigrati in Italia, costretti a subire orari e trattamenti sui posti di lavoro che non tutelano la dignità delle persone: tema diffusamente trattato all’interno del XXIV Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes presentato all’Expo di Milano lo scorso giugno”.
Dal 2001, l’8 agosto, si celebra la Giornata Nazionale del Sacrificio e del Lavoro Italiano nel Mondo. La data rimanda alla tragedia nella miniera belga di Marcinelle quando, l’8 agosto del 1956 morirono 262 minatori, di cui 136 italiani: il numero più numeroso dei 600 italiani morti nelle miniere tra il 1946 e il 1956.
Sono passati 50 anni invece dalla morte di 88 tra operai, tecnici ed ingegneri degli oltre 700 impegnati in quel momento nella costruzione di una delle infrastrutture più importanti d’Europa, la diga di Mattmark, in Svizzera. Erano le 17.15 di lunedì 30 agosto 1965: in meno di 30 secondi, le baracche, la mensa e le officine furono sepolte sotto oltre 50 metri di ghiaccio, ghiaia e sassi.
“La montagna di ghiaccio aveva inghiottito la vita di 88 persone, 86 uomini e 2 donne, e lasciato 10 feriti gravi. Insieme agli italiani perirono 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci, un apolide e 23 svizzeri. La provincia di Belluno fu quella più colpita con 17 vittime, insieme al Comune di San Giovanni in Fiore (Cosenza), che perse 7 uomini. Il dolore toccò tanti borghi di provincia da Nord a Sud, fino a quel momento sconosciuti, come Acquaviva di Isernia, Gessopalena oppure Bisaccia e Montella, Gagliano del Capo, Tiggiano e Ugento e, ancora, Uri, Senorbì e Orgosolo, Castelvetrano, Cormons e molti altri. Complessivamente, delle 56 vittime italiane, 55 uomini e una donna, 17 erano veneti, 8 calabresi, 4 abruzzesi, 5 trentini, 3 campani, 3 emiliani, 3 friulani, 3 pugliesi, 3 sardi, 3 siciliani, 2 piemontesi, 1 molisano e 1 toscano”.
È quanto si leggerà nel Rapporto Italiani nel Mondo 2015 che sarà presentato a Roma il 6 ottobre prossimo. Il volume della Fondazione Migrantes, giunto quest’anno alla decima edizione, dedicherà particolare attenzione a questi eventi rileggendoli in chiave europea e riattualizzandoli alla luce dell’attuale ripresa delle partenze degli italiani. Numeri sempre più consistenti legati a necessità occupazionali vissute a livello sicuramente nazionale, ma alla luce di un nuovo scenario europeo e internazionale.
“Il ricordo di queste morti sul lavoro, in questo tempo di una nuova emigrazione italiana giovanile in Europa e nel mondo – ricorda il Direttore generale della Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego – richiama la necessità di una tutela dei lavoratori migranti tutti, siano essi italiani fuori dei confini nazionali o cittadini di altre nazionalità che vivono e lavorano in Italia”.
Un editoriale del Corriere della Sera del 9 agosto 1956, titolava: L’Italia può esportare dei lavoratori, ma non degli schiavi: un titolo significativo che pone una riflessione sull’attualità delle tragedie che segnano il mondo del lavoro migrante nel mondo.
In un momento in cui viviamo concretamente la cosiddetta “era delle migrazioni” l’attenzione alla dignità del lavoratore migrante diventa imprescindibile soprattutto considerando che una serena accoglienza si può attuare solo accompagnando all’autonomia i migranti attraverso quattro elementi fondamentali: famiglia, casa, lavoro, istruzione.
“Il ricordo e la preghiera in questo giorno si unisce all’impegno per le persone – conclude Mons. Perego – ancora oggi vittime del lavoro, come le recenti cronache testimoniano: spesso lavoratori migranti, italiani all’estero e immigrati in Italia, costretti a subire orari e trattamenti sui posti di lavoro che non tutelano la dignità delle persone: tema diffusamente trattato all’interno del XXIV Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes presentato all’Expo di Milano lo scorso giugno”.